Omicidio Serban, diventa definitiva la pena a carico di Falloni
L’appello in Cassazione di Gabriel Falloni, l’uomo che ha confessato di aver ucciso Elena Raluca Serban il 18 aprile 2021 in un alloggio di Aosta, è stato dichiarato inammissibile. Diventano così definitivi i 24 anni di reclusione inflitti al 36enne di Sassari dalla Corte d’assise d’appello di Torino il 1° febbraio dello scorso anno. Falloni era stato arrestato dalla Squadra Mobile della Questura, che lo aveva identificato a poche ore dall’assassinio, dopo tre giorni di fuga
Il giudizio di secondo grado aveva visto una riforma della sentenza della Corte d’assise d’appello che, per le imputazioni di omicidio volontario e rapina, si era pronunciata il 25 maggio 2022 per l’ergastolo all’imputato. Una ridefinizione della pena operata sulla base di quanto emerso da alcune testimonianze processuali e da una perizia richiesta della difesa (l’avvocato Marco Palmieri).
In particolare, era emerso il quadro di un “soggetto dall’invadenza eccessiva e perciò inquietante, incapace di intrattenere normali relazioni con gli altri”, in cui si collocava anche l’accertamento del fatto che “l’imputato soffre di un ‘Disturbo di personalità di tipo antisociale’”. Considerato, era stato il ragionamento della Corte d’Assise d’Appello, che “tutto ciò non ha avuto riflessi sulla sua capacità di intendere e di volere, più che andare alla ricerca delle sue colpe, appare conforme ad equità dargli rilievo mitigando il trattamento sanzionatorio”.
In secondo grado, il difensore di Falloni aveva ribadito la richiesta di una pena che tenesse conto del parziale vizio di mente sostenuto in capo all’imputato e del riconoscimento dell’insussistenza dell’aggravante relativa al fatto che si fosse recato nell’alloggio affittato ad Aosta da Serban (con cui era in contatto da tempo, per averla conosciuta tramite siti erotici d’incontri a pagamento) con l’intento di rapinarla.
Un aspetto, assieme ad altri, su cui il difensore aveva impugnato in Cassazione il giudizio di secondo grado. La discussione alla quinta sezione della Suprema corte è avvenuta alcuni giorni fa, il 9 gennaio, in udienza pubblica, e si è conclusa con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Sono ora attese le motivazioni della decisione, che cristallizza sia la colpevolezza, sia la pena che Falloni dovrà scontare.
Omicidio Serban, perché in appello è saltato l’ergastolo a Falloni
Perché l’ergastolo comminato in primo grado a Gabriel Falloni per l’omicidio volontario (e la rapina) di Elena Raluca Serban, è saltato in appello, sostituito da una pena di 24 anni di reclusione? La domanda era nell’aria dallo scorso 1° febbraio, quando la Corte d’Assise d’Appello di Torino aveva riformato la sentenza nei confronti del 36enne di Sassari, reo confesso dell’uccisione della 32enne trovata senza vita in un alloggio di Aosta il 18 aprile 2021. Ora, con il deposito delle ventiquattro pagine di motivazioni del verdetto, esiste anche la risposta.
Il quadro di “desolante solitudine”
A suggerire il riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche, bilanciandole in equivalenza alle aggravanti della recidiva e del “nesso teleologico” con la contestata rapina – dato che ha condotto alla rideterminazione della pena – è stato “solamente il quadro di estrema, desolante solitudine che pare averne accompagnato, se non l’intera esistenza, quanto meno la fase adulta”. Secondo la Corte, “Falloni non aveva amici, non aveva relazioni affettive, era in urto con tutta la propria famiglia d’origine”.
Non solo, perché “le testimonianze raccolte sul suo conto lo descrivono come un soggetto dall’invadenza eccessiva e perciò inquietante, incapace di intrattenere normali relazioni con gli altri”. Al riguardo, la perizia disposta dalla Corte d’Assise di Aosta, su istanza della difesa (l’avvocato Marco Palmieri, affiancato dal collega Davide Meloni del foro di Aosta, aveva ribadito la richiesta di una pena che tenesse conto del parziale vizio di mente sostenuto in capo a Falloni), “ha accertato che l’imputato soffre di un ‘Disturbo di personalità di tipo antisociale’”.
Considerato che “tutto ciò non ha e non ha avuto riflessi sulla sua capacità di intendere e di volere, – si legge nella sentenza – più che andare alla ricerca delle sue colpe, appare conforme ad equità dargli rilievo mitigando il trattamento sanzionatorio”. La Corte d’Assise d’appello ha quindi ritenuto sussistere entrambi i reati di cui era accusato l’imputato, tenendo conto, in particolare, “dell’efferatezza dell’omicidio, del fatto che la vittima fosse totalmente indifesa e dei gravi ed anche specifici precedenti” di Falloni (riguardanti, tra l’altro, la violenza sessuale e le lesioni).
Solo la tesi d’accusa suffragata da prove
L’altra richiesta difensiva avanzata in secondo grado era stata il riconoscimento dell’insussistenza dell’aggravante relativa al fatto che l’imputato si fosse recato nell’alloggio affittato ad Aosta da Serban (con cui era in contatto da tempo, per averla conosciuta tramite siti erotici d’incontri a pagamento) con l’intento di rapinarla. Al riguardo, però, la sentenza è netta: “occorre dire che la ricostruzione proposta dall’accusa e fatta propria dal giudice di primo grado”, oltre “ad essere immune da vizi logici, “è l’unica suffragata dalle prove raccolte nel giudizio”.
Al contrario, quelle proposte dall’imputato e dalla sua difesa “trovano agli atti solamente smentite”. Secondo le indagini, coordinate dai pm Luca Ceccanti e Manlio D’Ambrosi e svolte dalla Squadra Mobile della Questura di Aosta, Falloni si era recato a casa della vittima “per impossessarsi con violenza o minaccia del suo denaro, dopodiché il fatto si è sviluppato in un omicidio”. Tra gli elementi a suffragio di questa tesi, vengono citati i precedenti per rapina a carico del 36enne, risalenti al 2012, “ai danni di due prostitute diverse”.
In entrambi i casi, “l’imputato si è finto un cliente, ha portato la vittima in un luogo appartato e qui l’ha malmenata, l’ha minacciata di morte e le ha sottratto il denaro che ella aveva con sé”. Nello specifico della vicenda per cui è finito a processo ad Aosta, Falloni – come ricostruito grazie alle immagini della videosorveglianza del condominio in cui Serban aveva affittato un alloggio – “ha aperto la porta con l’avambraccio della mano libera, non con quello della mano in tasca”.
Un gesto che, per la Corte, trova “la più ragionevole delle spiegazioni nell’intenzione di non lasciare traccia del proprio passaggio” ed è quindi “lecito dedurne che già in quel momento l’imputato fosse animato da intenzioni illecite”. Commentando il verdetto torinese, con la rimodulazione della pena, l’avvocato Palmieri aveva dichiarato: “è chiaro che forse c’è ancora da lavorare. Aspettiamo le motivazioni, per vedere su cos’altro puntare”. Ora, la difesa può valutare se proporre il ricorso in Cassazione, ultimo grado di giudizio previsto dall’ordinamento.
Omicidio Serban, in appello salta l’ergastolo: pena ridotta a 24 anni
Salta, alla Corte d’Assise d’Appello di Torino, l’ergastolo comminato in primo grado a Gabriel Falloni, 36enne originario di Sassari, per l’omicidio volontario di Raluca Elena Serban, 32enne trovata senza vita in un alloggio del capoluogo, in viale dei Partigiani, il 18 aprile 2021. La sentenza del secondo grado processuale è di 24 anni di carcere ed è arrivata quando non mancava molto alle 16.15 di oggi, mercoledì 1° febbraio. L’udienza era iniziata in mattinata, attorno alle 12.30, per concludersi circa un’ora e mezza dopo.
In aula, la Procura generale aveva invocato (attraverso la richiesta di inammissibilità dell’appello) la conferma della pena inflitta a Falloni al termine del processo ad Aosta, il 25 maggio 2022, cioè il carcere a vita. Per parte sua, la difesa (l’avvocato Marco Palmieri, affiancato dal collega Davide Meloni del foro di Aosta) aveva ribadito le richieste di una pena che tenesse conto del parziale vizio di mente sostenuto esistere nell’imputato (sollevato già in primo grado, ma escluso da una perizia disposta dal Tribunale) e dell’insussistenza di un’aggravante contestata all’imputato.
Parliamo di quella relativa al fatto di essersi recato nell’alloggio affittato ad Aosta da Serban (con cui era in contatto da tempo, per averla conosciuta tramite siti erotici d’incontri a pagamento) con l’intento di rapinarla. In realtà, da quanto emerso alla lettura del dispositivo, la sentenza odierna opera una riduzione della pena non perché i giudici abbiano ritenuto insussistente questo aspetto, ma per l’aver riconosciuto a Falloni le attenuanti generiche, bilanciandole in equivalenza alle circostanze aggravanti della recidiva e del “nesso teleologico” con la contestata rapina.
“Siamo molto soddisfatti, sia io che il collega Meloni – afferma l’avvocato Palmieri – soprattutto alla luce della richiesta iniziale del Procuratore generale e della parte civile di inammissibilità dell’appello. L’appello, evidentemente, non solo era ammissibile, ma la Corte d’Assise d’Appello ha fatto giustizia su uno dei punti fondamentali del nostro ricorso. E chiaro che forse c’è ancora da lavorare. Aspettiamo le motivazioni, per vedere su cos’altro puntare. Le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante contestata e alla recidiva, secondo me rappresentano il premio comunque al comportamento di Falloni, collaborativo da subito”.
Falloni condannato all’ergastolo in primo grado
Ergastolo, con isolamento diurno per i primi due mesi. E’ finito il 25 maggio 2022 con la pena più severa prevista dall’ordinamento il processo a Gabriel Falloni, il 36enne originario di Sassari, accusato dell’omicidio volontario di Raluca Elena Serban, 32enne trovata senza vita in un alloggio del capoluogo, in viale dei Partigiani, il 18 aprile 2021. La sentenza è stata letta dalla Corte d’Assise di Aosta, composta dai togati Eugenio Gramola e Marco Tornatore e da sei giudici popolari, quando mancavano pochi minuti alle 15.30. L’imputato, in aula stamane per l’udienza, non è rimasto per la lettura del verdetto.
Come la discussione tra le parti aveva lasciato presagire, la partita processuale si è giocata non sulla responsabilità nell’uccisione, confessata circa un mese dopo i fatti dall’imputato, ma sulla sussistenza delle aggravanti contestate dalla Procura. La Corte ha ritenuto non riconoscibili quelle dell’aver commesso l’omicidio per futili motivi e con modalità di particolare crudeltà, ma ha resistito quella del “nesso teleologico” con l’altro reato contestato, la rapina, coesistenza che poteva valere l’ergastolo. E’ stato altresì stabilito il risarcimento dei danni alla madre e alla sorella della vittima, da quantificare in sede civile, ma disponendo intanto una provvisionale da circa 250mila euro.
Le reazioni al verdetto
“Speravamo, ovviamente, io e il collega Meloni in una caducazione di tutte e tre le aggravanti” ha detto lasciando Palazzo di giustizia il difensore dell’imputato, l’avvocato Marco Palmieri. “Leggeremo le motivazioni, cercheremo di capire perché è rimasta in piedi una delle aggravanti su cui pensavamo di avere delle chances dimostrative dell’assoluta insussistenza”. Annunciando l’appello alla sentenza odierna, il legale ha sottolineato che “in queste vicende c’è sempre un po’ di pudore della difesa”, perché “a cosa serve che diciamo che siamo dispiaciuti, che siamo rattristati: è un’ovvietà”, però “che ci sia stata resipiscenza, che ci sia stato dolore da parte di Gabriel, questo è stato manifestato ovunque”.
“La pena dell’ergastolo è una pena che lascia sempre senza parole, da qualunque parte uno si trovi. – sono le prime parole dell’avvocato Maurizio Campo, che ha affiancato la famiglia Serban quale parte civile nel processo – E’ una giusta soluzione dal punto di vista di applicazione del diritto vivente, perché queste sono oggi le norme. Bisogna capire come la Corte ha ragionato nell’escludere talune circostanze, riconoscendone una, e questo lo potremo sapere soltanto leggendo la motivazione. Anche se da quello posso intuire dal dispositivo, il percorso argomentativo della Corte sarà quello di non attribuire nessuna rilevanza che sia una, alle parole dell’imputato, sia in sede di interrogatorio nelle indagini, sia in fase di dibattimento”.
La tesi della rapina
Il carcere a vita era stata, peraltro, la richiesta che, in mattinata, aveva concluso la requisitoria svolta dai pm cui il procuratore capo Paolo Fortuna aveva affidato il fascicolo, Luca Ceccanti e Manlio D’Ambrosi, che hanno coordinato le indagini della Squadra Mobile della Questura. Nell’impostazione accusatoria, Falloni si sarebbe recato da Serban (con cui era in contatto da oltre un anno, dopo averla conosciuta tramite siti erotici d’incontri a pagamento) con il preciso intento di rapinarla. “Falloni è un lavoratore che guadagna, al momento del delitto, 1.700 euro al mese. – ha detto D’Ambrosi – I suoi conti correnti sono sostanzialmente a zero ed ha una serie di debiti con le persone che va a ristorare di quelle somme” sottratte alla ragazza.
“Falloni sa dov’è il denaro”, ha aggiunto il pubblico ministero. Se così non fosse stato, i 37 minuti in cui l’uomo si è trattenuto in casa (tempo ricavato dalla videosorveglianza) non sarebbero stati sufficienti per cercare in ognuno dei libri nell’alloggio, mettendoli poi sul divano accanto all’ingresso. “Si recava da lei per consumare rapporti sessuali, conosceva le tariffe, quindi conosceva la disponibilità monetaria all’interno dell’appartamento”. L’opposizione incontrata dalla ragazza dinanzi al tentativo di sottrarle il denaro avrebbe “determinato la furia omicidia” di Falloni. “Strappare la vita per 8mila euro è qualcosa di aberrante e che rifugge la concezione di chiunque oggi ascolta queste mie tristi parole”, ha osservato D’Ambrosi.
Il pm, dall’imputato “versione riduzionista”
L’altro rappresentante della pubblica accusa, dopo essersi riferito all’accaduto in termini di “altro non è che un femminicidio”, si è soffermato sulla confessione di Falloni e sull’esame che ha reso in aula, per cui l’imputato, dopo un’irrisione di carattere sessuale della vittima, l’avrebbe afferrata per il collo e quindi avrebbe successivamente reagito al fatto che lei fosse riuscita ad afferrare un coltello in cucina. Per Ceccanti, siamo di fronte ad una “ricostruzione opportunisticamente tesa a limitare le conseguenze del processo”. Appoggiandosi su due elementi emersi dai sopralluoghi tecnici nell’alloggio e dalla perizia medico-legale, il pm ha quindi cercato di sgretolare la “versione riduzionista” offerta da Falloni.
La lettura corretta, per la Procura, è che “l’azione di strangolamento è stata violentissima”, tanto che è “impossibile pensare che Elena abbia ripreso energia”, sia potuta andare nella cucina e minacciare il 36enne. Secondo Ceccanti, siamo di fronte ad “un uomo fuori controllo, che trascina la vittima ormai morente” in bagno e, mentre sta agonizzando, “con il coltello (mai ritrovato, ndr.) le squarcia” il collo. “La logica lo dice – ha tuonato il pm – e la logica è il primo elemento di giudizio”. Peraltro “non c’è una logica alternativa a questa”. Oltretutto, la perizia condotta dalla psichiatra Mercedes Zambella, ci dice che “Falloni è un millantatore ed un simulatore”.
L’imputato interrompe il pm
Nell’esame svolto (ritenuto sufficientemente chiaro dalle parti, tanto che in apertura di udienza non è stato necessario sentire la professionista che l’ha svolto), “ci leggo – ha aggiunto Ceccanti – assoluta mancanza di pentimento, resipiscenza, di tutti quei segni che” Falloni “ha indicato come affetto, addirittura amore, per una ragazza che ha brutalmente” ucciso. Durante la requisitoria, nella parte dedicata alle modalità di fuga dell’imputato dopo l’omicidio (è stato dapprima a Genova, poi arrestato nel ritorno verso la Valle) e al modo in cui ha speso i soldi sottratti, Falloni ha interrotto il pm con un urlo. Severamente ripreso dal presidente della Corte Gramola, ha ribattuto: “dice delle bugie!”.
Moglie e sorella della vittima in aula
In fondo all’aula, la sorella e la madre della vittima ascoltavano in silenzio, a tratti scuotendo la testa in segno di incredulità, in altri momenti cercando la fuga con lo sguardo fuori dalle finestre del palazzo di giustizia. Si sono costituite parte civile nel processo e l’avvocato che le rappresenta Maurizio Campo (assieme alla collega aostana Corinne Margueret) ha chiesto che venga riconosciuto loro il riconoscimento dei danni loro cagionati da Falloni, da determinare in sede civile – attraverso un separato giudizio – ma disponendo intanto una provvisionale immediatamente esecutiva, sollecitata dal legale nella misura di oltre 220mila euro complessivi per le due parenti.
La difesa: pericolosità sociale non considerata
Ha quindi avuto inizio l’arringa del difensore dell’imputato, l’avvocato Marco Palmieri (affiancato dall’ avvocato Davide Meloni del foro di Aosta). Riferendosi all’esame svolto dal perito della Corte, dopo aver prodotto l’esito di una consulenza di parte, il legale ha sottolineato che “c’è una componente di pericolosità sociale, ma non viene presa in considerazione dalla perizia, perché si conclude che Falloni non è, al momento dei fatti, incapace di intendere e di volere”. La difesa ha quindi puntato sull’esclusione delle aggravanti contestate dalla Procura.
Parlando di una foto postata su Facebook da Falloni, il giorno prima dell’omicidio, in cui appare con gli stessi vestiti ripresi dalla videosorveglianza del condominio aostano, ha commentato “Se ho un progetto del genere, non la posto, non mi faccio riconoscere”, ha annotato il legale, per poi passare al fatto che “il futile motivo del rapporto che non va a buon fine, per lui non lo è. La ha presa quasi per toglierle il respiro”. Oltretutto, il “futile motivo” lo “raccontiamo noi, altrimenti non si sarebbe mai saputo”. Quindi, ha esclamato il difensore, “vogliamo credere all’imputato che confessa interamente il 12 maggio, o vogliamo credergli a spezzoni?”.
Furto, non rapina
Quanto all’ipotizzata rapina, se l’imputato non ha mai negato di aver preso gli 8mila euro, “non è andato a casa della persona offesa per questo. Se faccio una rapina per arricchirmi, non spendo i soldi come ha fatto lui”. Il legale si è quindi chiesto dove siano i debiti paventati: “Abbiamo decreti ingiuntivi? Abbiamo dei pignoramenti? Se dobbiamo ragionare sui documenti, diciamo che degli 8mila euro non ce ne facevamo nulla”. Un argomento sostenuto anche ricordando che Falloni “va a Genova a trovare un amico albergatore, parla con un Carabiniere, parla con le prostitute e manda dei telefoni a due nipoti che non lo conoscono, perché nemmeno l’unica sorella che gli ha voluto del bene lo accetta più”.
Tant’è che la parente, ricevuti soldi e cellulari, “chiama la Questura di Sassari”. “Io dico che c’è la prova del furto”, ha chiuso l’avvocato Palmieri, respingendo l’addebito di rapina. Argomenti sulla base dei quali il difensore, non prima di aver ricordato la “condotta procedimentale, ancora prima che processuale, di totale messa a disposizione alle autorità” da parte dell’imputato (che “non può essere maltrattata come hanno fatto oggi i pubblici ministeri”), si è opposto alla richiesta dell’ergastolo, sostenendo che “le aggravanti non sussistono” e invocando una pena adeguata, che “tenga conto del vizio parziale di mente” dell’imputato. Una visione cui la Corte non ha aderito. Le motivazioni del verdetto sono attese entro 45 giorni.