Omonimia tra avvocati e la convocazione finisce al legale sbagliato: l’imputato viene liberato

20 Luglio 2016

Un’omonimia tra avvocati, la convocazione a un’udienza che finisce all’indirizzo sbagliato (arrivando a Torino, anziché a Bergamo) e il condannato, nel frattempo incarcerato per scontare la condanna, vede le porte della cella riaprirsi.

Cronaca di una disfunzione giudiziaria che merita di essere raccontata con ordine, anche perché riguarda un procedimento giudiziario iniziato al Tribunale di Aosta nel 2010. Il 9 giugno di quell’anno, Giulivo Fenaroli, residente a Villongo (Bergamo), finisce dinanzi al giudice Eugenio Gramola, accusato tra l’altro di bancarotta fraudolenta.

Il suo nome, assieme a quello di Giorgio Marenzi (sempre del bergamasco), era emerso nelle indagini coordinate dal Pubblico ministero Luca Ceccanti sul fallimento della società “Impreval Srl”, con sede legale a Verrès. La ditta operava, in Valle d’Aosta, a Brusson, Antagnod, Perloz, Valgrisenche ed Aosta, nonché in varie località del nord Italia, soprattutto nella zona di Bergamo.

Secondo quanto appurato dalla Guardia di finanza, i due, in qualità di amministratore legale e di fatto dell’azienda, tra il 2002 ed il 2007 avevano distratto patrimonio societario per circa 5 milioni di euro, tra beni, somme di denaro e titoli. La tesi convince il collegio (quali giudici a latere c’erano i magistrati Paolo de Paola e Marco Tornatore), che condanna Fenaroli a sei anni di reclusione.

Gli imputati ricorrono in appello e a Torino, dove il 19 gennaio 2012 si tiene il processo di secondo grado, per loro finisce leggermente meglio. La Corte riunisce tutte le ipotesi contenute nel capo d’imputazione in un unico reato (bancarotta per distrazione) e ridetermina le pene, diminuendole leggermente. Il periodo di reclusione, per Fenaroli, scende a cinque anni e quattro mesi.

Ai protagonisti del processo resta ancora un grado di giudizio e scelgono di percorrerlo. I loro ricorsi vengono esaminati il 18 novembre 2015 dalla quinta sezione della Corte di Cassazione. Per i giudici della Suprema Corte, tuttavia, le impugnazioni depositate sono “inammissibili per genericità”. Ognuno dei due ricorrenti è condannato al pagamento delle spese del procedimento e a versare la somma di mille euro in favore della cassa delle ammende.

Più di tutto, però, visto il periodo da scontare, ai polsi di Fenaroli scattano le manette: essendo confermata, la sentenza diventa infatti definitiva e “in forza della decisione della Corte di cassazione”, la condanna viene “posta in esecuzione”. Lui, che di anni oggi ne ha cinquantanove, presenta allora un nuovo ricorso straordinario, assieme un’istanza di sospensione, perché la Suprema Corte avrebbe deciso sul suo caso “senza dare rituale avviso al ricorrente”.
 
La Cassazione, stavolta la prima sezione, discute l’istanza la settimana scorsa, il 15 luglio, e le annotazioni dei magistrati nella relativa ordinanza sono tutte da leggere. In vista dell’udienza del novembre 2015, l’avviso è stato spedito e notificato “all’avv. Paolo Casetta del foro di Torino, cassazionista, quale difensore di fiducia del ricorrente Fenaroli”, ma “dagli atti dei giudizi di merito emergeva che il Fenaroli era difeso dall’avvocato Paolo Casetta del foro di Bergamo, non cassazionista, professionista diverso”.

In sostanza, per un caso di omonimia, la convocazione a difendere l’imputato è stata recapitata in un’altra città, ad un altro legale, tant’è che – scrivono ancora i giudici di Cassazione – dal verbale dell’udienza del novembre 2015 “risulta che nessun difensore era comparso”. Quanto basta per far scattare la condizione di “eccezionale gravità” prevista dal Codice di Procedura penale e per “provvedere con urgenza, e senza formalità, alla sospensione dell’esecuzione della condanna”, “disponendosi la liberazione del ricorrente se non detenuto per altro titolo”.

Dopodiché, sul ricorso straordinario, per la revisione della condanna di Appello, “dovrà invece procedersi previa fissazione di udienza partecipata”, ma Giulivo Fenaroli la aspetterà da casa e non da una cella.
 
 

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