Operazione Altanum: gli storici legami fra la “locale” aostana e quella di San Giorgio
Come già in “Geenna”, anche nelle 700 pagine dell’ordinanza firmata mercoledì dal Gip Valentina Fabiani, c’è un ampio excursus storico sulla presenza dell’’ndrangheta in Valle d’Aosta, a partire dagli anni Settanta e sui suoi legami con la “locale” di San Giorgio Morgeto.
L’approfondimento ruota attorno all’operazione “Lenzuolo”. A partire dal 1999 il gruppo carabinieri Aosta aveva iniziato ad indagare per verificare la presenza, consistenza e operatività di sodalizi criminali sul territorio.
Il nome dell’operazione fa riferimento ad una scena osservata dai militari durante uno dei loro appostamenti, che poteva ricondursi ad un rituale ‘ndranghestista: la notte fra il 23 e il 24 agosto del 1999 nel retro del bar Ponte Romano un uomo seduto su una sedia posta al centro di un lenzuolo bianco disteso per terra e altri uomini in piedi attorno al primo.
E’ proprio durante l’operazione Lenzuolo che inizia a delinearsi la figura di Vincenzo Raso, poi meglio definita in “Tempus Venit”. L’uomo, arrestato mercoledì nell’ambito dell’Operazione Altanum, era già stato condannato negli anni Ottanta per favoreggiamento personale nell’ambito dell’omicidio di Francesco Manti del novembre 1981 “maturato in un contesto di soggetti gravitanti nella criminalità di origine calabrese”.
Secondo gli inquirenti Vincenzo, “con la qualità di partecipe attivo al locale di appartenenza di San Giorgio Morgeto”, assieme ai fratelli Michele (anche lui arrestato mercoledì) e Salvatore (ucciso nel 2011) “rappresentava il sodalizio in Valle d’Aosta, gestendo le comunicazioni” ma anche esercitando “la guardiania a tutela degli imprenditori di San Giorgio, con particolare riferimento a quelli operanti” nella nostra regione. A lui si rivolgerà un imprenditore di origine calabrese per porre fine al tentativo di estorsione da parte della cosca Facchineri, delineato nell’operazione “Tempus Venit”.
Negli anni la figura di Vincenzo Raso emerge in altri vicende dove secondo gli inquirenti si vede “quale soggetto aduso a muoversi in contesti criminali con autorevolezza e godendo di rispetto” , in particolare nel contesto di un’altra vicenda estorsiva ai danni di un fruttivendolo “in cui faceva la sua comparsa quale mediatore legittimato ad intervenire in ragione della sua appartenenza alla criminalità organizzata”.
Nel marzo del 2011 i Carabinieri documentano una cena particolare presso il ristorante “La Rotonda” di Tonino Raso, finito in carcere nell’ambito dell’operazione Geenna.
Una riunione dove, oltre a Vincenzo Raso, “si registrava la presenza di numerosi personaggi legati alla criminalità organizzata, già emersi nell’ambito dell’indagine Lenzuolo. Inoltre veniva notata la presenza dell’Assessore alle politiche sociali del Comune di Aosta, Marco Sorbara, in carcere dal 23 gennaio scorso ma non indagato in quest’ultima operazione.
“La cena in questione sicuramente appariva di estremo interesse, atteso che, ad eccezione del Sorbara, unico politico presente, gli altri soggetti erano tutti, a vario titolo, appartenenti o legati ad ambienti riconducibili alla criminalità organizzata calabrese.” Fra questi, secondo gli inquirenti, era presente anche un uomo di 95 anni, indicato in una conversazione ambientale come “uno di primi capi società dell’ndrangheta in Aosta”.
L’ordinanza ricorda come Sorbara era da poco stato eletto in Giunta mentre in quel momento era in corso la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di San Giorgio Morgeto, paese di origine di molti dei presenti.
Rileggendo le carte dell’operazione Lenzuolo il Gip afferma nell’ordinanza come “è stata dimostrata la presenza della locale di ‘ndrangheta attiva ad Aosta in tutta la Valle d’Aosta“. Presenza confermata non solo dai collaboratori di giustizia ma anche “dagli stabili e saldi vincoli che si sono visti legare gli indagati tra di loro o solo dagli accertati rapporti dei medesimi con personaggi a pieno titolo inseriti nella criminalità organizzata di matrice calabrese, ma soprattutto è inequivocabilmente emerso dalle stesse parole degli indagati in talune conversazioni intercettate e dal loro comportamento per come rilevato in servizi di osservazione svolti”.
La locale di Aosta non godeva però di una perfetta autonomia, risultava “sotto la feroce e determinata influenza della famiglia Facchineri/Facchinieri”e veniva gestita all’epoca “mantenendo volontariamente un basso profilo”.
“Un commerciante non accetterà mai di pagare il pizzo non è a Reggio Calabria che è nato con l’idea che deve pagare il pizzo o in Sardegna che è nato con l’idea che c’è un bandito, non lo ha mai visto. In Valle d’Aosta su 50, 46 se la cantano” dicevano due degli allora indagati nell’indagine lenzuolo, in una conversazione intercettata dai carabinieri. E ancora più avanti “perché hanno provato a sparare a qualcuno, a qualche giudice gli hanno messo magari qualche bombettina (il riferimento è secondo gli inquirenti all’attentato all’allora pretore di Aosta Giovanni Selis)”.. “hanno provato anche a bruciare qualche locale, e non ci sono riusciti lo stesso”.