Palpeggia una donna in strada, condannato 22enne

26 Settembre 2019

Se non stessimo parlando di imputazioni penali, con risvolti tutt’altro che goliardici emersi durante l’udienza, gli episodi che hanno portato a processo ieri, mercoledì 25 settembre, un 22enne di origini egiziane potrebbero persino ricordare una scena di un film della serie “Una notte da leoni”. Il finale è una condanna ad un anno e due mesi di carcere, per violenza sessuale, e per l’inizio della pellicola occorre tornare al 14 e il 15 luglio 2018, ad Aosta.

La “trama” emersa dai vari testimoni sfilati in aula vede, inizialmente, il ragazzo dormire su un’auto non sua. Viene svegliato e scende. Dopo pochi metri, incrociata una donna sulla sua strada, la palpeggia con vigore sulle natiche. Poco dopo, trova un’altra vettura, con le chiavi inserite nel quadro. Prova ad accenderla, fa pochi metri e sbatte contro un muro, fermandosi di nuovo a dormire all’interno. La Polizia interviene e, chiamato un medico, il giovane sembra star bene.

All’indomani, tuttavia, viene pescato all’interno di un’altra auto, intento a masturbarsi (sarebbe stato “stimolato” dalla visione di una donna in abiti succinti, che lavava i vetri in un vicino locale). Per l’accusa, ha forzato la vettura per entrarvi. Secondo il pm Carlo Introvigne, che ha chiesto ai giudici 2 anni e 6 mesi di reclusione, “la violenza sessuale ci è stata descritta da colei che ha riconosciuto l’imputato come l’autore”, per quanto l’imputazione sia “attenuata”, perché oltre al palpeggiamento non ci sono stati “altri atti aggressivi”. Quanto al secondo episodio, “ha manifestato la tendenza ad entrare in auto altrui” e, considerato che “il gesto di autoerotismo è successivo e non è previsto come reato”, la contestazione era di danneggiamenti.

L’avvocato Alessio Iannone, nell’arringa, ha puntato sull’incapacità di intendere e volere dell’imputato, rilevando che in quei giorni non era chiaramente in grado di contenere i suoi impulsi. Tant’è, ha sottolineato il legale, che ai fatti è seguito un ricovero in psichiatria. Al momento delle dimissioni, dell’imputato si sono perse le tracce ed è solo sulla base di atti documentali, e non su una visita, ha incalzato l’avvocato, che l’accusa afferma la sua capacità di stare in giudizio.

Per il difensore, l’imputato non era affatto capace di intendere e volere e, quanto al danneggiamento, in occasione del secondo episodio, ha sollevato la totale assenza di prove circa i presunti danni, considerando come la forza dell’ordine intervenuta – che ha trovato l’imputato nell’abitacolo con i genitali coperti da una giacca – non abbia rinvenuto strumenti atti allo scassinamento, né testimoni che abbiano riferito circa forzature o altri danneggiamenti.

Tesi che hanno convinto parzialmente i giudici del collegio (Eugenio Gramola, Maurizio D’Abrusco e Marco Tornatore), che hanno condannato per la violenza e assolto per l’altra imputazione. Dissolvenza. Schermo nero. Titoli di coda. Difficilmente, però, arriverà un Oscar.

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