Per il crack della “Stolemberg” una condanna a 4 anni di carcere

11 Settembre 2019

Si chiude con un’assoluzione e una condanna il processo nato dal fallimento, dichiarato nel febbraio 2017 con un passivo da oltre 4,5 milioni di euro, della “Stolemberg Srl”, una società edile con sede ad Aosta. Al termine dell’udienza di oggi, mercoledì 11 settembre, il Tribunale ha inflitto quattro anni di carcere, per bancarotta fraudolenta, al 58enne Pantaleone Parlato, di Tramonti (Salerno). Dal concorso nella stessa accusa è stato, invece, prosciolto l’altro imputato, il 61enne Giancarlo Pignocchino di Candia Canavese (Torino).

Il primo era stato amministratore di diritto dell’azienda tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, mentre il secondo aveva rivestito la funzione di socio unico dal maggio 2015, per quasi dodici mesi. Secondo le indagini dei finanzieri del Gruppo Aosta, i due avevano, nei rispettivi ruoli, “distratto, dissimulato, dissipato beni o denari della società fallita”, nota in Valle per aver acquisito l’immobile della vecchia stazione della seggiovia, in località Staffal a Gressoney-La-Trinité, con il progetto di trasformarlo in un residence.

Il pm Eugenia Menichetti ha chiesto in aula 6 anni di carcere per Parlato e 3 anni e 6 mesi per Pignocchino, dicendo nella sua requisitoria di una “vicenda complessa, dalla quale emerge il coinvolgimento di personalità criminali di un certo spessore”. Sullo sfondo delle vicissitudini della “Stolemberg” vi è infatti – oltre ad una serie di dissidi legati al passaggio di quote sociali tra varie persone – un omicidio, quello dello ‘ndranghetista Salvatore Germanò, per cui era stato incarcerato Parlato, ritenutone il mandante.

Parlando di una rara “efferatezza nella progettazione di un piano criminoso”, il pubblico ministero ha quindi tratteggiato la figura di colui che gli inquirenti ritenevano l’amministratore di fatto della società (dalla contabilità ferma al 2011 e mai pervenuta, per il periodo successivo, al curatore fallimentare): Raffaele Giangrande, con trascorsi da consigliere comunale a Torino negli anni Novanta. Arrestato nel luglio 2017, era però morto nei mesi successivi, con l’estinzione del procedimento nei suoi confronti.

Secondo l’accusa, era lui ad aver architettato il piano che avrebbe condotto al fallimento della “Stolemberg” (peraltro, richiesto da lui stesso, facendo istanza di ammissione al passivo e poi con un decreto d’ingiunzione). “È andato fino in fondo e ha ottenuto il suo risultato”, ha esclamato il pm Menichetti. Non prima, tuttavia, di aver ottenuto dalla “Stolemberg”, il 30 novembre 2013, cioè un giorno dopo la nomina di Parlato, un contratto di consulenza “formalmente relativo all’analisi delle prestazioni debitorie e creditorie della società ed all’elaborazione di un piano di ristrutturazione dell’azienda”.

Per gli inquirenti, quel documento (ricco in clausole, che prevedevano il versamento del compenso di 200mila euro anche in caso di rescissione anticipata) era “privo di qualsiasi contenuto e funzionale a simulare un credito privilegiato di Giangrande verso la società, della quale già si prevedeva il fallimento”.  “Parlato non ha alcuna competenza giuridica – ha ribattuto il suo difensore, l’avvocato Davide Meloni, chiedendone l’assoluzione – È stato utilizzato da Giangrande. Non c’è compartecipazione nel reato di bancarotta. Quel contratto, semmai, è una truffa”.

Simile la linea difensiva dell’avvocato Carlo Laganà, che assisteva Pignocchino, dipinto nell’arringa come “un amministratore usato, per un periodo, dalla mente, che era Giangrande”. Una visione che ha convinto i giudici in questo caso (il collegio era presieduto da Luca Fadda e composto da Maurizio D’Abrusco e Paolo De Paola), ma che non è servita ad allontanare l’altro imputato dalla condanna.

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