Riordini fondiari, incostituzionale la norma regionale

31 Luglio 2020

Le disposizioni in materia di riordino fondiario, varate dalla Regione nel 2019, con la prima variazione di bilancio, sono incostituzionali. A stabilirlo è stata la Consulta con la sentenza pubblica oggi.

La norma impugnata prevedeva che, ai fini della redazione del piano di riordino fondiario, qualora nell’area interessata risultino beni intestati a soggetti irreperibili, sconosciuti o deceduti senza eredi, il Consorzio convoca l’assemblea dei consorziati affinché i soggetti interessati possano dichiarare, alla presenza di un notaio, le ragioni per vantare l’eventuale titolarità dei beni. L’assemblea si pronuncia su tali dichiarazioni, approvandole ai fini della predisposizione del piano di assegnazione dei terreni.

Secondo lo Stato però la norma contrasta con “con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”, e in particolare per l’inerenza a materie pertinenti all'”ordinamento civile”.

Tesi accolta dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato fondata la questione di illegittimità della norma per violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile.

“La disposizione impugnata prevede, infatti, come detto, che, in relazione a beni che risultino “intestati a soggetti irreperibili, sconosciuti o deceduti senza eredi”, l’assemblea dei consorziati accerti, alla presenza di un notaio, l’esistenza di eventuali diritti vantati da terzi sugli stessi. E con ciò innegabilmente essa incide su istituti propri del diritto civile. – si legge nella sentenza –  Per di più – con lo stabilire che, ove non risultino soggetti che possano vantare diritti di proprietà sui beni suddetti, questi siano “ricompresi nel piano di riordino” – la norma censurata viola le disposizioni codicistiche a tenore delle quali, invece, “[i]n mancanza di altri successibili l’eredità è devoluta allo Stato” e “[i] beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”. 

Con la stessa sentenza, invece, la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale su un’altra norma varata nel 2019 relativa alla Tariffa del servizio idrico integrato.

Le componenti tariffarie previste dalla norma regionale impugnata, al di là della loro denominazione, sono, spiega la Corte Costituzionale “rispondenti alle componenti statali”. Per questo la Regione “nell’esercizio della competenza legislativa primaria, che in materia lo statuto le assegna e in cui è compresa l’individuazione dei “criteri” per la determinazione nelle componenti di costo delle tariffe del servizio idrico integrato” non si è “posta in contrasto con le “direttrici” della normativa tariffaria statale”.

 

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