“Spaccata” alla Moncler: condannato anche il secondo fermato

15 Ottobre 2018

Ha scelto il rito abbreviato ed ha finito con l’essere condannato alla stessa pena inflitta, nello scorso giugno, a colui che, secondo le indagini dei Carabinieri, era suo complice nella “spaccata” al negozio Moncler di Courmayeur, il 6 maggio 2017. Per il giudice monocratico del Tribunale, Marco Tornatore, il romeno 34enne residente a Torino Lucian Tudor Dima è colpevole e dovrà scontare 3 anni di carcere, oltre a pagare 600 euro di multa.

La sentenza nei suoi confronti include anche l’interdizione, per una durata di cinque anni, dai pubblici uffici. Quanto all’istanza di revoca degli arresti domiciliari (scattati nello scorso febbraio) presentata dalla difesa, il magistrato l’ha rigettata, motivando che la “misura in atto rappresenta il minimo indispensabile per assicurare le esigenze cautelari” e che l’imputato “non ha minimamente mostrato di aver compreso i comportamenti di cui si è reso responsabile”. L’uomo resta quindi ristretto nella sua residenza.

L’udienza si è tenuta nella mattinata di oggi, lunedì 15 ottobre. L’altro fermato per la “spaccata”, Ciprian Brasoveanu, 36 anni, era stato giudicato lo scorso 19 giugno, nell’ambito dell’udienza preliminare dinanzi al giudice Paolo De Paola. Nella stessa occasione, Dima aveva “incassato” il mancato consenso del pubblico ministero Carlo Introvigne alla richiesta di patteggiamento da lui avanzata.

Per la terza persona che, nella ricostruzione dei militari, era entrata in azione quella notte, il 32enne Alexandru Andrei Istoc, il processo è stato sospeso per irreperibilità. Gli inquirenti ritengono che, già nel momento in cui erano state spiccate dal Gip del Tribunale le ordinanze di applicazione della misura cautelare, non si trovasse più in Italia.

Dalle risultanze dell’inchiesta, “la banda del mattone” (così l’avevano ribatezzata i Carabinieri) aveva prima rubato una 500 Abarth e un’Alfa 159 SW all’Autoalpina di Charvensod, per poi usarle per il furto nella boutique Moncler ai piedi del Monte Bianco. Gli indizi ritenuti identificanti erano vari, ma particolare rilievo veniva attribuito al blocco di cemento usato per rompere la vetrina (considerato la “firma” dei malviventi) e all’abbigliamento di uno degli uomini “catturato” dalla videosorveglianza della concessionaria. Quegli stessi vestiti erano stati ripresi, qualche giorno prima, dalle telecamere di un esercizio pubblico di Torino ove era stato tentato un furto.

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