Angelo D’Orsi ad Aosta spiega “L’intellettuale antifascista – Ritratto di Leone Ginzburg”

28 Gennaio 2022

La puntualità delle parole che Angelo D’Orsi usa per descrivere una figura così straordinaria come quella di Leone Ginzburg rivela la profonda conoscenza che di quest’ultimo il primo ha ricavato. Il suo libro L’intellettuale antifascista – Ritratto di Leone Ginzburg è il frutto di quarant’anni di studio, letture ed interviste a parenti, amici e testimoni della grande vicenda intellettuale ed esistenziale che è stata la vita di Leone, come lo chiama D’Orsi, quasi rivolgendosi ad un amico di vecchia data. Già Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Torino, D’Orsi ha anche insegnato negli atenei di Milano, del Piemonte Orientale e della Valle d’Aosta, e si è candidato come Sindaco di Torino alle elezioni comunali del 2021. Ad Aosta è tornato ieri per rendere omaggio, ancora una volta, alla figura di Ginzburg presentando il libro a lui dedicato e pubblicato nel 2019 per Neri Pozza. Un libro che, raccontando uno dei più grandi intellettuali che hanno segnato la storia dell’antifascismo italiano, si è prestato per riflessioni particolarmente significative nell’occorrenza della giornata della memoria. 

Angelo D’Orsi

La conferenza, organizzata dalla Biblioteca regionale in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea in Valle d’Aosta, ha visto dialogare insieme a D’Orsi il ricercatore Corrado Binel. La breve ma intensa vita di Leone Ginzburg, consumata tra il 1909 e il 1944, ha inizio nella sua vivace città natale, Odessa, di cui D’Orsi e Binel hanno ben sottolineato l’apertura e il cosmopolitismo. È questa l’atmosfera in cui cresce Leone, nato in un’agiata famiglia ebrea e destinato a diversi tour tra Odessa, le vacanze in Versilia e l’approdo definitivo a Torino. Proprio nel capoluogo piemontese, nella sezione A del Liceo Classico D’Azeglio, Ginzburg stupisce i suoi coetanei, chiusi nel loro provincialismo sabaudo, portando una ventata di aria europea che impressiona i suoi compagni di scuola. “Stiamo parlando di Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Massimo Mila, Norberto Bobbio… Personaggi di questa statura e cresciuti in un ambiente così ristretto oggi li possiamo solo immaginare, tanto più se guardiamo i candidati proposti in questi giorni per il Quirinale”, commenta scherzosamente D’Orsi. Eppure, Ginzburg ha qualcosa di “prodigioso”. D’Orsi lo spiega usando le parole del Professore con cui si è laureato nel 1972 in Filosofia del diritto, Norberto Bobbio, che nel 1924 si rende subito conto, insieme ai suoi compagni di classe, che il nuovo arrivato “era alto una spanna più” di tutti gli altri.

Leone stupisce per il suo cosmopolitismo e per la sua voracità intellettuale, che lo spinge a leggere tutti i quotidiani, anche quelli più lontani dalla linea politica del suo gruppo di amici, in nome dell’aderenza al modello gobettiano di intransigenza politica e apertura culturale: ideale che in lui si fonde armoniosamente con la pluriappartenenza all’Italia e alla Russia. Lui che crede fortemente nel fondamento morale della politica e che sogna un’“Europa democratica e federalista dal basso”, lui che si batte perché la Russia sia considerata europea non può che soffrire profondamente la perdita della cittadinanza italiana sotto il fascismo. Nel raccontare le vicissitudini di Ginzburg, D’Orsi non manca di tenere un occhio sul presente, come quando nota che ottenere la cittadinanza italiana ai tempi del fascismo era paradossalmente più facile che oggi. Ma il paradosso più grande è che a non essere più cittadino italiano sia proprio Leone, “uno che, secondo Bobbio, parlava italiano meglio di tutti i suoi compagni di scuola e incuteva timore persino ai professori”. 

D’Orsi ripercorre la nascita e i primi anni della casa editrice Einaudi fondata, su spinta dello stesso Leone, da un altro “d’azeglino”, Giulio Einaudi, sotto la protezione dell’influente padre Luigi. Ginzburg ne diventa negli anni il direttore di fatto, senza mai smettere di dedicarsi alle mansioni più meschine, come la correzione delle traduzioni altrui. Uno zelo che rientra nella sua essenza di filologo, frutto di una passione per la parola che deriva forse dalla cultura ebraica, come ipotizza Binel, e che conserva anche dopo la perdita della libera docenza per il suo rifiuto di giurare fedeltà al fascismo.

Se la sua passione per la filologia si può ancora oggi apprezzare nelle sue traduzioni, la vera anima di Ginzburg è però quella politica, come precisa D’Orsi, ed è forse questa la sua eredità più grande. La politica, prima in Giustizia e Libertà, poi nel Partito d’Azione, è intesa da Ginzburg come un impegno morale. Lo dimostra il suo rifiuto di abbandonare il “posto di battaglia”, quando viene informato delle retate fasciste prima e nazista poi, nel 1944, pagando il suo coraggio con la morte a seguito dell’arresto e della tortura da parte delle SS. La sua vita, terminata in una cella del carcere Regina Coeli di Roma, sembra essere finita troppo presto: “Il rammarico di Bobbio era che Ginzburg fosse morto senza aver detto l’ultima parola”, spiega D’Orsi, “e in effetti quanto avrebbe potuto darci ancora, lui che poteva dare così tanto a tutti!”. Forse, però, D’Orsi una possibile “ultima parola”ce l’ha in mente: “Al di là delle sue straordinarie altre qualità, quello che mi ha sempre colpito di Leone è la generosità di cui parlano tutti quelli che l’hanno conosciuto. Nella lettera che, al termine della guerra, viene recapitata alla famiglia Ginzburg per la pensione attribuita ai parenti dei martiri del fascismo, a Leone viene riconosciuto di aver lottato ‘con il ruolo di gregario’. Quando l’ho letta all’inizio mi sono arrabbiato, poi ho pensato che in fondo sarebbe stato contento così: in tutta la sua vita non ha mai smesso di prestare servizio agli altri”.

 

Corrado Binel

 

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