Anna Torretta e la sua “montagna che non c’è”
Un animo da esploratrice e una determinazione che le sono valse una laurea in architettura, una vita da madre e l’ingresso nella prestigiosa e antica Società delle Guide di Courmayeur. A oggi, Anna Torretta è ancora l’unica quota rosa della compagnia della Valdigne, un dettaglio non di poco conto se si pensa che è stata fondata nel 1850 e che nel mondo è seconda solo a quella di Chamonix.
La torinese ha presentato il suo primo, “e ultimo” libro, come scherza lei stessa, “La montagna che non c’è”, al Café Librairie di Piazza Roncas, aiutata nel racconto dall’amico e compagno di tante cordate Matteo Giglio: “Questo libro per me è stato doppiamente incredibile. Intanto perché la casa editrice, che mi ha cercata in seguito alla partecipazione al reality di Rai1 Monte Bianco, mi ha permesso di raccontare la mia idea di montagna e poi perché è stato un percorso attraverso i meandri della scrittura”.
Il libro è il frutto di una stesura a quattro mani con l’amico Andrea Ottolini, “che inizialmente mi aveva proposto di scriverlo attraverso i miei racconti, ma io volevo cimentarmi e volevo scriverlo di mio pugno, quindi ho scoperto che man mano che scrivevo le mie abilità sono cresciute e leggendomi ho capito il margine di crescita che potevo avere e come si stava sviluppando. È stato un bel percorso”. Anche in questo la caparbietà della Torretta esce dirompente e si fa energia, la stessa che le permette di raggiungere quelle montagne che non ci sono come racconta lei: “La montagna che non c’è perché quando si raggiunge una cima si pensa sempre alla prossima avventura e quindi in realtà quella montagna scalata non esiste perché subito si sostituisce a lei un altra sommità”.
La sua missione è quella di raccontare la sua visione di montagna, ma non è in nessun modo un’autobiografia. Si trovano capitoli in cui vengono descritte le spedizioni e le zone geografiche sperdute in Afghanistan, dalle quali la Torretta porta sempre con sé i visi delle persone incontrate, le sensazioni di meraviglia e anche un bel bagaglio di conoscenza culturale che solo l’esperienza diretta può regalare. Un capitolo intero affronta il tema donne-montagna (l’intero volume è dedicato alle sue bambine Petra e Lidie), e come la società ancora faccia fatica a vedere nelle donne delle guide alpine alla pari degli uomini: “Quando ero giovane già sapevo che sarei voluta diventare guida alpina, i miei genitori ovviamente mi hanno detto che prima di tutto mi sarei dovuta laureare e così ho fatto, dopodiché mi sono impegnata perché la montagna diventasse la mia vita, ma ammetto che non è sempre stato semplice. Le donne hanno una concezione del rischio molto diverso da quello degli uomini e questo, sommato a un forte fattore culturale, le tiene ancora lontane dal mondo delle guide alpine. Ovviamente non bisogna generalizzare, ci sono ragazze che danno filo da torcere agli uomini, anche se preferisco le spedizioni con i colleghi maschi: sono più decisi, per loro esiste solo l’obiettivo e il litigio o la discussione non possono avvenire, diverso con le donne”.
Madre e alpinista insieme, la guida di Courmayeur crede fortemente nella potenza del suo libro soprattutto per quando saranno le sue due figlie a leggerlo: “L’ho scritto perché a Petra e Lidie resti sempre qualcosa da leggere sulla loro mamma, di modo che quando saranno grandi possano capire le ragioni che mi spingevano ad allontanarmi da casa e a lasciarle per settimane. La montagna è la mia vita, per loro adesso è normale che io stia via, quasi non se ne rendono conto”.
Di ritorno da Mugu nel Nepal, Anna Torretta ha raccontato di un lembo di terra alla frontiera con Cina e Tibet, una agglomerato di picchi e cime dove l’unica risorsa è lo scambio di merci per 15 giorni l’anno con gli stati al confine, istantanee di un mondo così distante dalla ricca Europa e al contempo così romantico e interessante. Anna Torretta rappresenta bene il nuovo alpinismo, non più solo la corsa alla vetta, ma la conoscenza e il rispetto di popoli e culture, fino a diventarne ambasciatrice nel mondo grazie alle testimonianze nel rientro da ogni avventura.
“Fare questo lavoro è una fortuna, è il lavoro più bello al mondo, ma non è solo questione di stare sempre in montagna, bisogna saper insegnare e trasmettere l’amore per la montagna e soprattutto far capire ai più piccoli la fortuna di poter andare in montagna. Noi teniamo corsi per i bambini e ci accorgiamo che ora non sono più nemmeno in grado di arrampicarsi sugli alberi, ogni volta questa cosa mi lascia basita, è veramente triste”. L’impegno di Anna per la divulgazione di una montagna da vivere in sicurezza passa attraverso le scuole e attraverso il suo lavoro, che per lei è diventato la sua vita; tante le vette scalate e non sono gli 8000 i picchi che ha preferito, ma in testa ha sempre la potenza, spesso anche dimostrativa e culturale, dell’ascesa: “Non mi piacevano proprio gli 8000, pensavo fossero scalate da pensionati: passeggiate come il Monte Bianco, solo molto più lunghe, poi mi sono dovuta ricredere, anche se quello che mi dà più adrenalina sono le pareti di ghiaccio. Quando, con una mia amica e collega donna, ho aperto una via di cascata di ghiaccio in Turchia, gli organizzatori del festival, di cui eravamo ospiti, erano su di giri. Erano davvero orgogliosi che due donne avessero dimostrato a una nazione così chiusa e indietro sui diritti delle donne che non c’è niente di impossibile nemmeno per noi”.
Il libro edito da Piemme è disponibile al Café Librairie et des guides.