Cocoricò Tapes, un valdostano racconta la leggendaria discoteca di Riccione
Chi non ha vissuto durante gli anni d’oro del Cocoricò difficilmente può capire cosa abbia significato quella discoteca di Riccione, in un certo senso così estrema, per migliaia di persone. Quello che è certo è che il “Cocco” continua a rimanere tutt’oggi un mito, sia per chi vi ha trascorso intere serate sotto la sua leggendaria piramide, sia per chi ne ha sentito solamente parlare. Per raccontare il tempio della musica techno, un locale che agli occhi delle nuove generazioni appare così libero e lontano nel tempo, senza cadere nell’effetto nostalgia, sembra esserci un solo modo possibile ed è quello di dare spazio alle testimonianze di quelle notti in cui tutto sembrava possibile.
Questo è esattamente quello che fa il documentario “Cocoricò tapes”, opera prima del regista Francesco Tavella, nato e cresciuto ad Aosta e poi trasferitosi a Bologna, che attraverso immagini e filmati d’archivio inediti e amatoriali, girati negli anni Novanta all’interno della discoteca, porta sullo schermo le notti folli del Cocoricò. La motivazione alla base della scelta del regista è chiarissima: “Il documentario deve essere vero e più vero dell’archivio non c’è niente. Se le cose raccontate nelle interviste degli anni Novanta fossero ridette oggi avrebbero lo stesso valore? Decisamente no”.
Il documentario, prodotto da La Furia Film (Cesena) e Sunset Produzioni (Forlì) e sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna attraverso Emilia-Romagna Film Commission, è stato presentato in anteprima mondiale alla 59esima Mostra Internazionale del Nuova Cinema a Pesaro, riscuotendo il favore del pubblico contemporaneo, ma anche di chi quelle notti le ha vissute o organizzate. Oltre a Francesco Tavella alla sceneggiatura ha partecipato Matteo Lolletti, mentre la fotografia è di Luca Nervegna, il montaggio di Luca Berardi e la musica di Matteo Vallicelli. La sua realizzazione è stata possibile anche grazie al prezioso supporto di più di 200 donatrici e donatori che, catturati dallo spirito del progetto, hanno deciso di partecipare e diffondere la campagna di crowdfunding sulla piattaforma Idea Ginger.
Montato come fosse un flusso di emozioni, “Cocoricò tapes” si lancia in un’impresa tutt’altro che semplice, raccontare una discoteca che è stata tante cose, e per ognuno una cosa diversa: un momento di trasgressione, un luogo in cui trasformarsi, un posto in cui sentirsi liberi senza aver paura del giudizio e delle etichette, una semplice occasione per divertirsi, un’esperienza edonistica, sociale e politica, ma anche il palcoscenico di innovative performance artistiche. Sicuramente il Cocoricò è stato un posto diverso da tutti gli altri, dove la contaminazione tra linguaggi – fatta di performance, installazioni, tableaux vivants, musica e interventi di intellettuali – non era mai casuale. Questo era recepito anche all’esterno tanto che il locale veniva spesso frequentato anche da gruppi di antropologi che ne studiavano temi e significati. “Nulla nel Cocoricò era mai solo estetico, tutto ciò che veniva proposto aveva un significato. Il Cristo con il mitra, per esempio, si lega a tutti gli attacchi che la Chiesa stava iniziando a subire proprio negli anni Novanta, dalla diminuzione dei fedeli alle accuse di pedofilia. Perciò la Chiesa doveva armarsi per difendersi”, racconta il regista a proposito di alcune immagini presenti nel documentario.
A parlare nel film, oltre ai ragazzi e alle ragazze che ogni sera ballavano sotto la Piramide, è Loris Riccardi, storico direttore artistico del Cocoricò, presentato in un televisore in continua rotazione. “Loris viene mostrato solamente all’interno di televisioni in rotazione come forma di rispetto nei suoi confronti, dal momento che per tutti i quindici anni che ha lavorato per il Cocoricò non ha mai voluto mostrarsi. Allo stesso tempo la televisione rappresenta il mezzo da cui lui traeva ispirazione per gli ambienti e i temi della serate”, racconta il regista. Ad accompagnare le parole di Riccardi sono altri membri dello staff che fungono da collante tra i vari filmati d’archivio, veri protagonisti del documentario.
Il racconto di quella “gente svalvolata, ma vera” così come la definisce Riccardi è racchiuso tra le immagini della caduta del Muro di Berlino e quella delle Torri Gemelle che mostrano l’intento del regista di portare sul grande schermo una generazione che ha potuto vivere nell’illusione della libertà, poi infranta quell’11 settembre. Ora, dopo il lancio a Pesaro, l’auspicio di Tavella è quello che il film continui a viaggiare nei festival, nelle arene all’aperto e magari anche in Europa. Intanto nella sua testa ci sono già tante idee per progetti futuri e non esclude la possibilità di girare qualcosa in Valle d’Aosta per raccontare l’ambiente dove è nato, ma da cui poi si è allontanato.