Con ‘Fango’ Jovanotti si aggiudica il primo premio Mogol

09 Giugno 2008
Io lo so che non sono solo anche quando sono solo..." Così comincia uno dei brani più trasmessi alla radio, Fango, singolo tratto da Safari, ultima fatica di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. E proprio con Fango il cantante toscano ha vinto la prima edizione del Premio Mogol, istituito dall’Assessorato regionale istruzione e cultura, e assegnato all’autore del miglior testo dell’anno. Il premio, consegnato sabato sera in cima al Forte di Bard, nella Piazza d’Armi, davanti ad una vasta platea di fans in visibilio, consisteva in una tatà, riproduzione in oro massiccio di un antico giocattolo valdostano raffigurante un cavalluccio su ruote. “Essere premiato con un giocattolo è bello, mi si addice e mi rende più leggero” ha spiegato, ringraziando, Jovanotti, che con fanciullesco entusiasmo è saltato in groppa al grande tatà di cartapesta portato sul palco. La serata si è chiusa, naturalmente, con le note della fortunata canzone, mentre il provvidenziale tendone, montato per accogliere il palco e il pubblico, ha felicemente impedito ai presenti di fondersi, fuor di metafora, con il cielo e con il fango.
La giuria del premio, presieduta da Mogol, e composta dai giornalisti Barbara Palombelli e Aldo Cazzullo e dal famoso deejay Linus, ha selezionato il brano da una rosa di 35 testi, stilata da una commissione formata, oltre che da Mogol, da docenti del Cet, Centro europeo di Toscolano, da lui diretto, e rappresentanti dell’amministrazione regionale. Tra i quattro finalisti, c’erano anche  “Ti regalerò una rosa”, di Simone Cristicchi, “Pensa” di Fabrizio Moro e “Niente Paura” di Ligabue.
A volte le canzoni richiedono una lunga gestazione, e per Fango mi ci sono voluti 40 anni” ha commentato Jovanotti in conferenza stampa. “Un giorno è arrivata, in due minuti appena, il tempo di scriverla, e allora ho avuto un sussulto, un brivido euforico: finalmente, eccola, mi sono detto. Il testo esprime concetti fondamentali per me, come l’invito, in quest’epoca frenetica e sovraccarica di informazioni, a non chiudere i canali dell’emozione”. Nello spiegare la genesi dei suoi testi, il cantante ha chiarito come le sue canzoni nascano “da un momento di totale e profonda intimità, durante il quale non cerco di dire cose importanti, ma di esprimere ciò che mi sta a cuore. Non pretendo di essere ascoltato, non è questa la mia motivazione.  Ma se succede, se un pezzo catalizza l’energia della gente, per me è un grande piacere”.
Giulio Rapetti, maggiormente noto come Mogol, ha affermato che a decretare la vittoria di “Fango” è stata “la grande sincerità del testo di Jovanotti, capace di arrivare davvero a chi lo ascolta, alla nostra sensibilità, al nostro cervello, per parlare di sentimenti universali. Tutto parte – ha proseguito – dalla capacità di sentire, perché, come canta Lorenzo, «l'unico pericolo che sento veramente è quello di non riuscire più a sentire niente». L’insensibilità non consente la trasmissione dei saperi, delle esperienze, in definitiva di ciò di cui si nutre la cultura popolare, che è la madre di tutte le culture. Questo premio, assieme al Cet, rappresenta il mio tentativo di invertire questo processo di inaridimento. Voglio sottolineare che farò di tutto per mantenere questo riconoscimento assegnato a mio nome totalmente  trasparente, in modo da premiare sempre il migliore”.
Da giornalista, Barbara Palombelli ha ammesso il debito contratto con Jovanotti dalla categoria, e da chi scrive i titoli in particolare. “Abbiamo spesso saccheggiato i suoi testi, che forniscono sintesi fulminanti, chiavi espressive particolari. Chi lavora con le parole può entrare a fare parte della cultura popolare, ma anche dell’evoluzione di una lingua”. Anche Linus ha ribadito l’importanza della parola, “che va difesa, supportata e coltivata”. Aldo Cazzullo ha invece raccontato della perplessità che gli suscitava il “primo Jovanotti”, quello disimpegnato, che, negli anni ’80, con il cappello alla rovescia, scandiva rime e slogan come “Gimme Five”, o “Sei come la mia moto”. “Mi sembrava figlio – ha spiegato il giornalista – dello spirito del tempo, di una generazione di giovani, la stessa a cui appartengo, che aveva rinunciato a perseguire grandi ideali, e andava in cerca di una felicità superficiale e strettamente individuale. Poi mi sono ricreduto completamente. La pulce nell’orecchio me l’ha messa Aprile, di Nanni Moretti. Vedere un intellettuale culturalmente schizzinoso come lui associare una canzone di Jovanotti, Ragazzo fortunato, a un momento significativo della sua vita come quello della nascita della figlia, mi ha dato da pensare”.
 
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