Dieci giovani, cinque documentari: i prodotti del corso Néo-journalisme audiovisuel

06 Maggio 2021

“Io so raccontare solo scrivendo”. Ero ferma qui prima di conoscere un nuovo modo di narrare, più tridimensionale, variegato e anche laborioso. Con le parole è più facile: si può mostrare di tutto in modo trasversale, indiretto e svelto, mentre non è così per il racconto audiovisivo, che implica una completa partecipazione. L’ho capito perché l’ho provato. Quattro mesi fa, io, Silvia Pandolfini, sono stata inserita nel corso di formazione professionale “Néo-journalisme audiovisuel” di scrittura e realizzazione di reportage e documentari, organizzato e coordinato dall’Union de la Presse Francophone – Section de la Vallée d’Aoste, con il sostegno del programma delle Politiche giovanili dell’Assessorato istruzione, università, politiche giovanili, affari europei e Partecipate e il partenariato della Film Commission Vallée d’Aoste. L’obiettivo del corso, tenuto in lingua francese, era quello di realizzare un breve reportage o documentario bilingue ambientato in Valle d’Aosta a coppie. Uno di questi è addirittura in parte dialogato in titsch. Il lavoro in autonomia è stato affiancato a circa trenta ore di un corso del programma di montaggio “DaVinci Resolve” con l’esperto Jean Michel Petit e otto di Civilisation française con Elena Landi.

Questo è stato il seguito di un corso più teorico tenuto l’anno scorso e aperto a ragazzi dai 16 ai 26 anni. Siamo stati seguiti meticolosamente dal regista Joseph Péaquin, che ci ha allo stesso tempo spronati alla nostra iniziativa e applicazione autonoma. Siamo stati infatti noi a scegliere il soggetto del documentario; Simone Sartore ed io l’abbiamo costruito intorno alla figura di mio papà, uno spazzacamino.

E’ stato un continuo scavare e ora mi rendo conto di quanto fossi superficiale all’inizio di questo percorso, a partire dal primo passo. 

 

Non immaginavo ci fosse tanto lavoro dietro ad un documentario

Il primo passo è stata la scrittura di due sinossi, trame sintetiche del documentario che avremmo realizzato. Quando le abbiamo analizzate insieme a Joseph sono rimasta sorpresa da quanto ogni parola fosse determinante per l’indirizzo che la narrazione avrebbe preso. Io non pensavo che da quel sintetico testo derivasse tutto il documentario
Una volta imboccata l’idea Simone ed io abbiamo lavorato a lungo sulla stesura del découpage séquentiel, la sceneggiatura più dettagliata. “Non visualizzate, non approfondite abbastanza” ci riprendeva spesso Joseph.  “La parte di scrittura è come sognare: devi immaginare, viaggiare con la mente…” sostiene Sylvain Deguillaume.

Sperimentando questo lavoro “capisci che non è così semplice come sembra” enuncia Diletta Peretto. La parte che l’osservatore esterno più sottovaluta è “il processo di ideazione” come dice Martina PrazQuello che noi vediamo come risultato finale ci sembra fluido e semplice, ma in realtà dietro c’è una costruzione molto complicata. Ho capito che un buon documentario parte da una buona idea organizzata e studiata nel dettaglio. Bisogna conoscere quasi alla perfezione quello che si andrà a riprendere e se si tratta di una persona bisogna passarci del tempo insieme”.
La difficoltà maggiore è stata strutturare l’idea del progetto e fare attenzione a ogni minimo particolare” ammette anche Simone “perché è più semplice procedere se c’è un’intenzione buona”.

I ragazzi durante il corso online con Jean Michel Petit

Abbiamo modificato la narrazione la mattina stessa del tournage

La mattina della giornata fissata per le riprese, ho guardato allarmata fuori dalla finestra. I tetti erano ghiacciati! Mio papà non avrebbe potuto pulire nessun camino e di conseguenza il racconto che io e Simone avevamo pianificato non stava più in piedi. Con Joseph abbiamo steso sul tavolo lo storyboard e selezionato le parti salvabili. Ne è risultato un accentramento del documentario sul tema dello sfruttamento dei bambini-spazzacamini, attraverso memorie e contrasti con l’attualità. Per dare un filo alla narrazione io ho partecipato come attrice, alzando con la mia curiosità le suggestioni espresse dal protagonista, mio papà. 

Tutte le coppie hanno incontrato intoppi. Per l’assenza imprevista di alcuni personaggi Deborah Bionaz, come me, si è calata nel ruolo di attrice. Martina e Diletta rivelano di aver passato “una crisi nera” dopo le riprese. Il modo in cui le ragazze intendevano raccontare Rudy, l’artigiano protagonista della loro narrazione, si è scoperto dopo non essere così attinente. “Una volta arrivate all’atelier abbiamo scoperto che era diventato per lui un parco giochi, così abbiamo voluto rivedere la storia sotto gli occhi della magia” spiega Martina. Dopo le riprese “siamo ripartite da zero ma avendo già in mano delle immagini. Non sapevamo più come andare avanti e venirne a capo ci ha richiesto parecchio sforzo mentale” spiega Diletta. 

Il materiale ci è stato fornito: videocamera, cavalletto e microfoni. Per molti di noi, me compresa, questa è stata una novità, ma non per tutti.  Simone e Filippo Maria Pontiggia, gli esperti in ambito audiovisivo del gruppo, hanno ormai familiarità con questi mezzi. E’ stato tuttavia il primo documentario-reportage per Simone, che dice: “non era una cosa alla quale di solito puntavo, è una branca che non avevo ancora calcolato, visto che io voglio fare cinema, e l’ho passata come esperienza”. Filippo si era invece già cimentato in questo genere, tuttavia “non in questa modalità in francese” precisa.

Il giorno del tournage è stato per Sylvain “pieno di adrenalina” e “pesante però bello” per Diletta, che commenta: “Si è per certi versi il capo della situazione”. Si doveva girare tutto in 24 ore e questo, dichiara Filippo, “ha portato a dover organizzare in modo molto preciso come andare a girare”.

Molti tra i ragazzi valutano la fase della post produzione come la più tribolata. “E’ stata una bella sfida” ammette Martina “con il corso online ci siamo un po’ approcciati ma è comunque complicato”. Montaggio grezzo, ripulitura, mix audio, tagli e scelte: “un lavoro chirurgico che chi guarderà i nostri prodotti finali neanche si immagina”.

Sono soddisfatto, ma so che possiamo fare meglio in post produzione” ammette Sylvain “noi ci abbiamo messo due ore a fare una cosa che un professionista avrebbe fatto in due minuti”. Ha lavorato con lui la sorella Virginie Deguillaume, che descrive il loro documentario “particolare”, e rivela: “All’inizio volevamo fare un reportage giornalistico, ma poi parlando con la protagonista è diventato un reportage un po’ più simpatico”. La protagonista, Maria, titolare di un negozio di tè ad Aosta, “è un personaggio” dice il fratello “e abbiamo scoperto dopo che ha una grande passione per i cani; così abbiamo messo insieme le due cose”. 

Sylvain e Virginie Deguillaume

Per Filippo, ormai pratico, è stato difficile “lavorare in questa condizione di Covid”. Spiega: “Nel nostro lavoro non sapevamo cosa sarebbe potuto succedere finché non saremmo stati lì”. Il progetto, ideato con Jacques Martinet, era quello di girare una giornata intera all’interno della città di Aosta, prendendo immagini all’apparenza casuali ma coerenti con la storia mirata dai ragazzi. “In base a molte possibilità il corto avrebbe potuto prendere una qualsiasi altra forma” fa notare Filippo “Il messaggio è di vivere la propria vita ponendo attenzione ai dettagli, con curiosità nuova senza farsi influenzare troppo dalle persone”.

Il documentario di Deborah e Leonardo Imbimbo riporta la storia delle cascate di ghiaccio di Cogne attraverso gli occhi di uno dei pionieri di questo sport  “E’ stato molto appassionante realizzarlo” testimonia la giovane.

 

Oltre agli aspetti operativi, quelli prettamente umani

Dietro al prodotto finale c’è anche un’attenta parte di preparazione emotiva. Ho dovuto sensibilizzare mio papà e renderlo cosciente della storia dei bambini spazzacamini, e istruire me stessa. Appena potevo gli infilavo un libro a tema sotto gli occhi o gli facevo domande sul suo mestiere. Lui era preparato, invece io non abbastanza.

“Molto positivo” fa notare Virginie “è stato il gruppo che si è formato, più l’anno scorso in cui eravamo in presenza però”. 
“Mi porterò con me il bello di aver conosciuto nuove persone con cui confrontarsi o collaborare in una futura professione, ma anche da portarsi dietro nel tempo libero” dice Martina “Non ci siamo quasi mai incontrati fisicamente, ma credo che nonostante la distanza abbiamo messo in comune qualcosa”. 
“Ho aiutato” racconta Filippo “soprattutto sul software le persone che non avevano capito alcuni passaggi. E’ sempre interessante lavorare con altra gente e portare qualcosa nel gruppo”.

Facevamo tutto insieme” dicono Diletta e Martina, che definiscono simbiotico il loro rapporto. “Questo ci ha agevolate, ma anche rallentate, perché una mediazione sulle scelte richiede più tempo, ma sicuramente il confronto è migliore”.
Vantaggioso è stato anche il rapporto tra i fratelli Deguillaume. “Il fatto di conoscerci bene ci ha aiutato, ci siamo divisi i ruoli spontaneamente” ricorda Sylvain. “Abbiamo comunicato bene” conferma la sorella “ci ha richiesto molto tempo ma sono contenta, ci siamo divertiti e siamo soddisfatti del risultato”.

Il profitto di questa formazione?

“Io ho una formazione più umanistica legata alla scrittura, invece per quanto riguarda l’audiovisivo non conoscevo nulla” rivela Deborah.  Anche Virginie ammette di aver imparato tutto: “dalla scrittura – che ho capito che è la parte che mi piace di più – alle parti più tecniche” sottolinea. “Da sola non avrei saputo fare niente”.
“Ho imparato e penso che imparare sia sempre piacevole, soprattutto quando vedi i risultati” dice Sylvain “E’ un’opportunità bella, perché ci ha permesso di creare un’opera artistica  e, essendo accompagnati dal corso e sostenuti dalla Film Commission e dall’UPF, ci siamo trovati obbligati a finirla, perché spesso è difficile concludere i lavori di stampo artistico”.

Sono competenze che “sicuramente sfrutterò” – assicura Debora – “Il giornalismo audiovisivo è un campo che sta crescendo, stanno nascendo tante forme miste di giornalismo, infatti penso che scrittura e audiovisivo possano integrarsi a vicenda”.
“Non è una cosa che metterò da parte” garantisce Diletta “vorrei vedere cosa riuscirei a fare senza la supervisione di Joseph, che ci ha guidato pur lasciandoci in autonomia”.
L’acquisizione di queste nuove abilità “mi carica tantissimo, mi dà fiducia in me stesso” si entusiasma Sylvain, che di base è attore; “Ora se mi trovo a lavorare per un film, a parlare con chi fa il montaggio, il mixaggio del suono o l’étalonnage, so di cosa parlo avendoci messo le mani dentro”.
Mi ha dato strumenti da poter declinare in tante realtà” riflette Martina “Credo nel potere delle immagini, sono appassionata al giornalismo e quello audiovisivo mi stuzzica”. “Ho trovato molto utile” riconosce Filippo “la parte del corso dedicata alla correzione del colore”.

Martina Praz e Diletta Peretto

Il francese ha dato a questa esperienza una specificità in più. “Abbiamo imparato termini tecnici in francese che ci potranno tornare utili” commenta Filippo. “Mi è piaciuto il fatto di parlare in francese con Joseph e tra di noi” aggiunge Deborah. In più, come sostiene Martina, questa lingua “si studia a scuola, però poi sono poche le occasioni in cui utilizzarlo come lingua veicolare”.

E’ stato un continuo scavare, e il mio profitto cruciale è stato capire che non si scava mai abbastanza. 

La presentazione dei reportage e documentari realizzati dai partecipanti al progetto promosso dall’UPF – Union de la Presse Francophone de la Vallée d’Aosta, si svolgerà in diretta streaming lunedì 10 maggio, alle ore 18, su AostaSera.it.

 

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