Dopo 16 anni finisce l’era Roberto Domaine ai Beni Culturali valdostani

25 Agosto 2019

“Di partenze posso dire di averne già viste diverse. Cambia tutto. Cambiano le persone e i punti di riferimento, dopo due giorni sei via e basta, sei già il passato. E poi è giusto che sia così”. Roberto Domaine passeggia in Piazza Severino Caveri, davanti a quel Palazzo Lostan che diventerà uno degli ultimi atti del suo periodo alla Soprintendenza dei beni e delle attività culturali.

La nuova piazza del foro romano è un luogo del cuore per Domaine, che la attraversa in completo blu e sneakers ai piedi, un abbigliamento che rispecchia molto dell’uomo e del professionista: classe ’57, a 20 anni entra in Regione ai lavori pubblici come assistente ai lavori e contabile dei lotti di bitumatura. Snocciola senza pause, fissando un meraviglioso quadro di Alessio Nebbia appeso nel suo ufficio che rappresenta la sua Saint-Nicolas, il curriculum che lo vede approdare alla Soprintendenza, dove trascorrerà 16 anni.

Nel 1988 diventa architett0 e passa all’Assessorato all’Agricoltura ben 24 anni, scalando vari livelli: “Nutro di quel periodo un bellissimo ricordo, in agricoltura le cose si fanno sempre per un motivo e sono tangibili. L’agricoltura è indispensabile per mantenere il territorio, è patrimonio immateriale e materiale della nostra regione, dalla monticazione ai prodotti di eccellenza”.

Teresa Charles lo chiama ai Beni Culturali per occupare il posto da Soprintendente nel 2003 e Domaine risponde presente. Ha inizio un’era di grandi cambiamenti nel settore dei Beni Culturali e un periodo in cui il diretto interessato ammette “c’erano le risorse per lavorare al meglio“. L’incarico viene ricoperto ininterrottamente fino al 26 agosto 2019, ma le attività documentate e svolte sono innumerevoli, così come le innovazioni introdotte, ad esempio i famosi “castelli cantiere evento“: “I cantieri evento hanno cambiato la percezione che le persone hanno dei siti storici e monumentali. Per me è fondamentale che tutti abbiano accesso alla cultura e capiscano il valore del patrimonio culturale valdostano. Abbiamo cercato di far capire alle persone il perché dei lavori e della loro durata, offrendo loro la possibilità di vedere con i propri occhi cosa succedeva e capirne l’importanza. Trovo che la gente valdostana abbia capito e che la sensibilità nei confronti dei siti storici e monumentali sia cresciuta da un po’ di tempo a questa parte”.

Ripercorrere una carriera significa fare i conti con i successi e gli insuccessi, anche con le scelte prese in un periodo lontano e diverso: “Iniziai con una sfida che al momento posso dire di aver vinto insieme al team dell’epoca: il Forte di Bard. Nel 2003 in pochi ci credevano, ora è un polo museale di respiro internazionale e ancora molto va fatto per mantenerlo tale e migliorarlo. E poi ci sono stati l’illuminazione e il riscaldamento del castello di Verrès, le aperture del Castello Gamba, della Tour de l’Archet, dei Balivi,  di Aymavilles. Ovviamente per tutto ci sono anche i detrattori, ma le critiche sono normali e vanno considerate sempre. Per la Porta Praetoria, per cui molto va ancora fatto, ricordo i giorni in cui la liberammo dalla stratificazione che nel tempo l’aveva deteriorata. Era un intervento non solo necessario, ma dovuto, stava diventando un dente cariato, eroso da diversi agenti. Ancora molto rimane da fare e purtroppo non si è potuto fare all’epoca per mancanza di fondi, ciò che però sono contento di aver fatto è di non aver ignorato un problema pressante come l’erosione di questo bene culturale, farlo sarebbe stato senza dubbio più semplice”.

Il dipartimento di Domaine è stato negli anni anche al centro dell’affaire Area Megalitica, una costruzione impensabile per la maggior parte dei valdostani e che sembra ancora, purtroppo, una cattedrale nel deserto per enormità e forse anche per difficoltà nel decifrarla: “Teniamo presente che quel progetto di struttura data di molti decenni fa, modifiche sono state fatte, ma alla base parliamo di almeno 30 anni fa. Il sito è estremamente importante e quasi unico per interesse, sono certo che crescerà di importanza con le scoperte che sono state rinvenute nella parte settentrionale di Aosta e con queste formerà un nuovo percorso di siti monumentali degni di interesse”.

L’ “Era Domaine” segna anche l’inizio di un circuito di siti storici e monumentali della Città di Aosta posti sotto il famoso biglietto unico, decisione che sancisce la nascita nero su bianco di una rete di siti a cui si può accedere tramite un approccio più chiaro dato da un forfait unico che il turista acquista e che legittima l’ingresso a diversi monumenti di interesse: “Con il biglietto unico finalmente anche i siti minori sono diventati importanti. Altrimenti per un Teatro Romano preso d’assalto vi erano 7 siti lasciati in disparte, inoltre il biglietto a pagamento restituisce dignità ai siti”.

Da poco in politica la cultura va a braccetto con l’agricoltura, due ambiti nei quali Domaine ha lavorato e dei quali sembra avere un’idea molto precisa: “La cultura deve occuparsi di cultura e l’agricoltura di agricoltura. Il turismo certamente deve fare da collante e unire i due ambiti, ma è bene che rimangano chiari gli obiettivi da perseguire. Uno non deve prevaricare l’altro e al tempo stesso uno deve farsi forza dell’altro. Solo così verranno entrambi valorizzati. L’agricoltura è indispensabile per un territorio come la Valle D’Aosta, ma il bene culturale non va banalizzato, non può diventare un contenitore per manifestazioni e c’è bisogno che si confezioni un’offerta che tenga in considerazione la forza di entrambi i settori e le sue eccellenze. L’arte è arte e l’agricoltura è agricoltura, in sostanza ognuno deve fare il suo e cercare di farlo al meglio delle forze, soprattutto perché all’interno dell’organico della Regione ci sono personalità che possono garantire l’eccellenza in entrambi i campi: la loro professionalità e le loro idee devono essere sfruttate al meglio”.

Sulla politica Domaine non si esprime, nonostante il periodo di incertezza nazionale e regionale è chiaro un concetto nel suo pensiero a riguardo: “La politica? Semplicemente è espressione della società. Non sono qui per giudicare chi fa politica, non è qualcosa che mi compete né che intendo fare, al tempo stesso mi sembra ingiusto decidere di delegare tutto alla politica chiedendosi sempre cosa questa possa fare per me. Sarebbe meglio se tutti iniziassimo a chiedere cosa possiamo fare noi”.

Un periodo lungo 16 anni, che ha segnato in diversi modi le trasformazioni dei beni e delle attività culturali valdostani, sempre nel segno dell’accessibilità e della democratizzazione della cultura. Una cultura in completo, pronta per le grandi occasioni, ma con quel twist moderno che solo delle sneakers ai piedi possono darle: “Non ho inventato nulla, ma ho avuto l’accortezza di guardarmi attorno e imparare quello che di buono c’era da prendere”.

 

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