“E tutto è stato un regalo”. Vinicio Capossela illumina la Saison Culturelle
Chissà che pensiero si è fatto – se se lo è fatto -, Vinicio Capossela della Valle d’Aosta. Poco meno di trent’anni fa, mal contati, ha suonato sotto il diluvio in piazza Giovanni XXIII, ad Aosta. Poi, ha portato le lunghe ombre della “Cupa” allo Splendor nel 2017, mentre fuori nevicava. L’estate dello scorso anno, a Bard, ha cantato le sue Tredici canzoni urgenti sotto l’acquazzone.
Anche ieri, di ritorno alla Saison Culturelle, è stata la pioggia ad accoglierlo ad Aosta. Anche se il suo arrivo, questa volta, ha avuto un sapore diverso. Anzitutto perché proprio Aosta ha ospitato l’anteprima assoluta del suo nuovo tour “Conciati per le feste”, che lo porterà in giro per tutta l’Italia e l’Europa. E poi il perché lo spiega lui stesso, dal palco: È bellissimo allestire il primo circo schützenfest ad Aosta, città di sant’Orso, in una via che si chiama Festaz”.
Perché sì, il nuovo disco, Sciusten feste n.1965, uscito appena il 25 ottobre promette quello: girare i modi di pensare, i modi di vivere. O, più banalmente, invertire gli accenti, passare dall’essere stati “conciàti” per le feste all’esortazione del tour: “Cònciati per le feste”.
E festa è stata, allo Splendor. Eccome se lo è stata. Sì, perché nel nuovo album Vinicio chiude gli occhi e mette al mondo canzoni affinate in vent’anni di concerti e che non avevano mai trovato “dignità” di pubblicazione. Tre brani inediti – tra i quali il primo singolo estratto, Voodoo Mambo, a metà tra l’auto citazione (…E allora mambo), il Día de los Muertos messicano e la Danse macabre – e, come dice lo stesso Capossela, “dodici canzoni d’importazione” che per lui hanno a che fare con la festa.
Nella bolgia di rumori, suoni, coriandoli Vinicio e soci – Alessandro Stefana, Sophia Tomelleri, Piero Perelli, Irene Sciacovelli, Nadia Addis, Andrea Lamacchia e Michele Vignali – c’è lo spazio per una festa multiforme. Che sa farsi grande classico rivisitato come in Campanelle – che poi sarebbe una strapazzata di Jingle bells – o trascina nella terra natìa di Vinicio, quella Germania vissuta solo sei mesi alla quale si richiama proprio il pezzo Sciusten feste n.1965.
Dal passato noto, solo Marajà si è salvata. Forse perché sì, la sua atmosfera è pienamente di festa. E lo Splendor – gremito – lo sa e lo capisce. “Mi spiace, questo è un concerto pensato per persone all’impiedi – ha detto Capossela all’inizio -, vuol dire che balleremo noi”. Ma il pubblico presente ha ballato, eccome, trascinata dall’atmosfera della Sciusten feste.
Nel mezzo, la frizzante Agita (Aggita) – che in effetti ha agitato – Charlie, che rivisita Christmas card from a hooker in Minneapolis, la Danza della fata Confetto, l’irresistibile Il friscaletto (Eh cumpari), ma anche Voglio essere come te (la I wanna be like you dritta dritta dal Libro della Giungla di disneyana memoria), Il guastafeste, perché alla fine ci vogliono anche loro, prima di Dankeschoen (Grazieschoen).
C’è tempo anche per qualche “perla” di Vinicio, di quelle che chiunque sia stato ad un suo concerto può raccontare: “Al portatore di doni – dice riferito a Babbo Natale, protagonista di Santa Claus è arrivato in città, rimescolamento caposseliano di Santa Claus is coming to town – oggi tocca stare dietro a tutto come un addetto alla logistica di Amazon”, dice prima di tornare sul palco vestito da San Nicola e bastone pastorale a forma di Candy cane.
Il tempo per un saluto, ripescando dal repertorio, c’è ancora dopo il “trenino” del pubblico sul Tico-tico. Da cantautore, musicista, menestrello e santone, Vinicio è ormai un maestro di cerimonia. Il suo Sciusten feste, il primo in assoluto, si chiude con le note de Il Tempo dei Regali.
“Il tempo dei regali è andato, amici miei | Il tempo delle fughe e dei baci | Altri verranno ma non sappiamo quando”, canta Capossela dal palco, mentre le lucine natalizie illuminano ancora la scena per il finale. Perché sì, uscendo dallo Splendor, tornando ad affrontare la pioggia dopo la grande festa abbiamo avuto tutti la stessa sensazione. L’ha detto Vinicio stesso: “E tutto è stato un regalo”.