Il Forte di Bard inaugura “L’Adieu des glaciers”, ricerca fotografica e scientifica dedicata al Monte Rosa

03 Agosto 2020

Un nome dolce ma malinconico, che vuole richiamare la nostra attenzione ai ghiacciai che lentamente stanno svanendo. “L’Adieu des glaciers” è un progetto quadriennale promosso dal Forte di Bard, che unisce ricerca fotografica e scientifica. La prima edizione, inaugurata venerdì 31 luglio, è incentrata sui ghiacciai italiani del Monte Rosa. La scelta del soggetto deriva da due fattori principali. Il Monte Rosa è il ghiacciaio della Bassa Valle, “il nostro ghiacciaio”, evidenzia la presidente dell’Associazione Forte di Bard Ornella Badery, ed è anche il monte che ha ospitato la prima salita alpinistica oltre i 4000 metri, compiuta nel 1778 da sette giovani. “Il Monte Rosa ha segnato il passaggio dalla storia dei miti a quella dell’alpinismo. Gli uomini sono diventati ardimentosi, sentivano la voglia della salita e della ricerca di qualcos’altro” racconta la presidente. Questi gli aspetti peculiari che hanno stabilito il Monte Rosa come primo protagonista del progetto, mentre i successivi saranno il Cervino, il Gran Paradiso e il Monte Bianco. Di ogni monte sarà rappresentato sia l’aspetto estetico che scientifico, attraverso l’unione di fotografia e ricerca, tutto con la presenza dell’uomo “Perché la montagna non può vivere senza l’uomo e l’uomo deve convivere con la difficoltà della montagna”, spiega Badery. 

La mostra è accessibile al pubblico fino al 6 gennaio 2021 nelle sale del Cannoniere.

Un progetto audace ma supportato

“Il progetto è ambizioso, complesso e impegnativo.” Non nasconde la presidente, ringraziando i tantissimi collaboratori coinvolti, che seguiranno il progetto per tutti i quattro anni. L’iniziativa è stata proposta a Enrico Peyrot, fotografo e ricercatore storico-fotografico, e a Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino. “All’inizio ci hanno guardato con un po’ di terrore negli occhi, ma poi ci hanno accompagnati in questa avventura, facendoci scoprire tanti documenti, personaggi, passione e fascino. Abbiamo capito quanto è intrigante il mondo della ricerca di tutti i generi. Ci hanno permesso di avere nuove suggestioni.” riferisce Badery. La presenza di tanti collaboratori è stata preziosa per il Forte di Bard, reduce da un anno difficile. “Abbiamo avuto difficoltà di ogni genere: di gestione, finanziarie e psicologiche”, confida ancora la presidente.

Un patrimonio vigoroso sistemato pezzo per pezzo

L’iniziativa ha ricevuto un contributo corposo, ottenendo 23 schede di ricerca, trattati scientifici da più di 100 autori e da più di 40 enti, opere fotografiche da 30 autori, tra cui alcuni non identificati. Si tratta di un patrimonio vigoroso e importante. 

Michele Freppaz spiega lo svolgimento del loro lavoro esponendo un paragone con il mondo della musica. “E’ stato come ricevere 100 solisti, ognuno brillante nella sua specialità, e cercare di installare un’orchestra fatta tutta di solisti trovando una partitura, una storia.” Questo lo sforzo che è stato alla base della costruzione della mostra: cercare una sintesi che potesse contenere tutte le ricerche. “Un mondo ampio al quale abbiamo cercato di dare un’interpretazione.”

Evidente il lavoro e l’impegno dei curatori, che non hanno lasciato nulla al caso, elaborando da zero un grande progetto pluridisciplinare, approfondito e studiato.

“Forse è la prima volta che il Forte di Bard si lancia in un’operazione del genere, di solito le mostre sono prese a pacchetto. Questa invece l’abbiamo costruita pezzo per pezzo. Abbiamo individuato i temi, cercato e poi selezionato i pezzi in base al significato.” spiega Enrico Peyrot “Siamo andati nella soffitta di Monterin a prendere le lastre fotografiche di vetro in negativo, ce ne erano più di 400 e le abbiamo aperte noi dopo decenni, scelto le più significative e mandate ai restauratori. Erano manomesse e rovinate chimicamente.”

Le fotografie “mortali” della storia dei ghiacciai

La mostra è formata da nove sezioni. Dalla storia, agli studi scientifici, fino a settori più attuali. Gli scatti esposti si snodano in un periodo di 150 anni. “Pensiamo che la storia sia il nostro sedimento, la nostra ricchezza. Le fotografie, come i ghiacciai, si sono depositate nel tempo. Però attenzione, la fotografia non è immortale, ma mortale, come i ghiacciai: se non si conserva bene svanisce.” Con questa riflessione il curatore Enrico Peyrot descrive i necessari lavori di restauro e recupero di molte immagini della mostra. “E’ un patrimonio importantissimo, dobbiamo prendercene cura, altrimenti alla fine del secolo non avremo più né i ghiacciai ma neanche le immagini che raccontano i ghiacciai.”

A partire dalla storia, al visitatore è presentato un viaggio attraverso la scoperta delle nozioni scientifiche, delle trasformazioni che i ghiacciai hanno subito e delle suggestioni trasmesse dalle immagini. E’ stata riposta molta attenzione all’aspetto emotivo emergente dall’impatto visivo, ponderando con attenzione ogni elemento. “Abbiamo fatto un progetto che va dai sistemi generali alla scelta delle sezioni, delle immagini, stabilendone dimensioni, locazioni, i contenitori” riferisce Peyrot.

La mostra comprende 100 fotografie inedite. Non sono esposte solo tradizionali immagini inquadrate, ma scatti particolari, studi scientifici originali, e anche dieci fotografie stereoscopiche, funzionali alla visione 3D. Esse sono una rivisitazione appositamente progettata per L’adieu des Glaciers in omaggio al primo sistema stereoscopico del fine Ottocento e primo Novecento. 

Enrico Peyrot davanti alla lastra del Monte Rosa del fotografo Vittorio Sella del 1890. Il curatore la considera un’opera dell’ingegno, perchè nella foto sono compresi i due versanti del monte. “Sembra semplice ma è un capolavoro”, ammira.
Enrico Peyrot a fianco delle stereografie

Il Monte Rosa come campo di ricerca

Il Monte Rosa è stato la culla nella quale sono cresciuti due grandi scienziati: Angelo Mosso e Umberto Monterin. “In questo progetto così temerario ho voluto cercare di dare a questi grandi scienziati alpinisti un volto, avvicinandomi alle loro vite e raccontando le loro passioni e capacità.” svela Freppaz. Angelo Mosso è stato medico e fisiologo torinese, nato nel 1846, ha condotto studi sull’adattamento dell’uomo ad alta quota facendo del Monte Rosa il suo campo di ricerca, “il suo campo giochi”, lo chiama Freppaz. Umberto Monterin, nato nel 1887 a Gressoney-La-Trinité, è stato naturalista, climatologo e glaciologo, “di una personalità straordinaria e di altissimo aspetto culturale”.

Un allarme dell’importante cambiamento climatico

L’aumento di temperatura che si sta registrando nelle aree montane sta procedendo a una velocità superiore a quella del riscaldamento medio del nostro pianeta e sta determinando un arretramento delle fronti glaciali. Dagli anni ‘80 la superficie dei ghiacciai italiani si è ridotta dell’80%.

“Vogliamo sensibilizzare il pubblico alla cura della nostra casa comune: la natura” afferma Ornella Badery. “L’obiettivo che ci siamo posti già da dal 2019 era  quello di raccogliere le testimonianze e i documenti per divulgare il messaggio trasmesso dai ghiacciai in modo netto, immediato , visivo.”

L’innalzamento delle temperature è un problema globale. “Lo zero termico oggi supera i 5000 metri. Il ghiacciaio del Monte Rosa si è molto ridotto” con questi dati  Freppaz sottolinea la gravità dell’importante cambiamento climatico, osservabile tra le installazioni della mostra.

                                                                                                                                                                     

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