“Io ero il Milanese”: dal podcast al libro, con la tv all’orizzonte

15 Giugno 2023

“Un errore di calcolo, un errore di progetto”. E’ ciò che, secondo l’autore, l’attore teatrale e autore radiofonico novarese Mauro Pescio, nell’intervista diffusa anche da Radio Proposta Aosta, ha portato alla nascita de “Io ero il Milanese”. Una storia di errori e di rinascita. Quelli di Lorenzo S., rapinatore seriale di banche che, dopo ventisette anni in cella, “svolta” e oggi è mediatore penale, sociale e scolastico, esperto in giustizia riparativa.

Una storia narrata anzitutto in un podcast su RaiPlaySound, quindi in uno spettacolo teatrale e, dalla fine dello scorso gennaio, in un libro edito per Mondadori. Proprio per presentare il volume, Pescio ieri, mercoledì 14 giugno, era ad Aosta. L’incontro, patrocinato dall’Ordine degli Avvocati, ha visto la moderazione del giornalista Alessandro Mano e l’intervento del sostituto procuratore Luca Ceccanti. Nella quiete del chiostro di Sant’Orso, conversare con l’autore della potenza di una storia (e dintorni) è stato naturale…

Il milanese è un viaggio che, in fondo, non pensavi di intraprendere nemmeno tu…
“Stavo cercando di fare un altro lavoro, ispirato ai vizi capitali, per Radiotre. Solo che poi, a un certo punto, per l’invidia, ho pensato di entrare in carcere, pensando ‘chi non è libero prova invidia di chi invece è libero’. Era un ragionamento che, tutto sommato, non faceva una piega, ma era freddo, astratto. L’impatto con il mondo del carcere mi ha fatto capire che quello era un messaggio fuorviante, francamente un po’ pretestuoso. Quindi quel progetto è stato abbandonato, ma in qualche maniera è stata la semina per l’incontro con Lorenzo”.

Germoglia così questa vicenda, che è invece straordinariamente complessa…
“Beh, questa è la storia che ogni narratore vorrebbe incontrare. Il mio merito, se c’è un merito, è stato quello di darmi il tempo, la pazienza e l’attenzione, la cura, perché tutta la complessità di questa storia esplodesse e potesse essere raccontata. Quel tempo è servito proprio per preparare quel territorio di fiducia reciproca fra me e Lorenzo, in cui appunto la complessità di questa storia potesse affiorare”.

Lorenzo… La prima volta che lo hai incontrato, qual è stato il tuo pensiero?
“La prima volta che l’ho incontrato, Lorenzo era fuori dal carcere da dieci giorni in via definitiva, dopo dieci anni di detenzione senza mai uscire dal penitenziario, nemmeno per un minuto. Uscito dal carcere senza più essere un criminale. In tutte le sue precedenti scarcerazioni, Lorenzo usciva che continuava ad essere un rapinatore, per cui puntava una banca, la colpiva e tornava a delinquere. In quell’uscita, nel luglio 2017, non aveva più quel pensiero. Io ho incontrato questa persona, una persona totalmente disadatta alla libertà. Una persona che non conosceva la vita libera da uomo, per quanto fosse un uomo adulto di 41 anni, alto un metro e 90. Questo è stato il primo impatto di un adulto, ma con la percezione della realtà di un neonato. Da subito mi sono accorto che la storia di Lorenzo era una storia che non parlava soltanto di carcere. Un racconto di un’umanità che poteva coinvolgere veramente un vastissimo pubblico”.

La presentazione del volume al Chiostro di Sant’Orso.

Il flusso del suo racconto: che cosa ti ha colpito subito?
“La cosa che più mi colpisce in assoluto è la capacità di addentrarsi, di analizzarsi ed è una capacità che mi sorprende ancora di più in quanto Lorenzo, fino al 2013, a 36 anni, dice di se stesso di possedere un vocabolario non superiore alle 100 parole. E pensare che una persona che ha un vocabolario di 100 parole nel 2013 e quattro anni dopo, uscito nel 2017, invece ha questa capacità di elaborazione, oltre che di eloquio, è una rivoluzione che è un fatto veramente straordinario, super concreto. Non è un racconto poetico, non è un racconto di una persona che ha visto una luce improvvisa, ma un racconto di una persona che si è riedificata, ricostruita dalle macerie dei suoi errori”.

Ci dice quanto spazio c’è per l’essere umano, se questo vuole venire fuori, in fondo…
“Sì. E quanto l’essere umano abbia delle risorse per emergere nel meglio. In questo è anche amletico: che meraviglia è l’uomo così capace… C’è proprio questo nella storia, la potenza dell’essere umano, cioè l’abisso in cui è in grado di cadere e, allo stesso modo, la potenza di rinascere”.

Quanto è strano ascoltare delle storie, anche cruente, anche molto pesanti, narrate con la naturalezza con cui, per esempio, stiamo conversando ora?
“Per quanto riguarda questo aspetto, diciamo che c’è voluto un po’ di tempo per avvicinarci, anche per addentrarci nelle parti più tragiche del racconto di vita di Lorenzo. All’inizio di ogni puntata del podcast c’è questa frase che rimbalza tutte le volte, che dice: ‘Io nasco dalla narrazione del mio vissuto. Questa non è la storia di un eroe, ma la storia di tanti fallimenti e scelte sbagliate che, a un certo punto, sono stati riconosciuti come tali’. Ecco, questa frase era la promessa che potevamo addentrarci nel fondo del nero, ma che si vede la luce in fondo. Con questa promessa ho creato quel patto di fiducia con l’ascoltatore, con il lettore e questo mi ha permesso: ‘La luce risplende nel momento in cui le tenebre sono più buie’”.

Mauro Pescio.

La storia di Lorenzo apre comunque anche la riflessione sul sistema, perché è quella di un recupero che passa attraverso un episodio quasi fortuito. Il sistema, nel modo in cui è concepito, non lo avrebbe favorito…
“Questa è una domanda che mi fanno in tantissimi e, dico la verità, non ho fatto questo lavoro come un lavoro di denuncia. Sicuramente c’è un impegno dietro questo lavoro, anche un impegno sociale, umano e politico. Una presa di posizione politica, ma io nasco come un narratore, cioè come una persona che fa intrattenimento e questo ci tengo a dirlo, non per deresponsabilizzarmi, ma perché il mio punto di partenza è quello. E sono convinto che questo abbia anche permesso che la storia arrivasse ad un pubblico ancora più vasto, rispetto ad un lavoro più settoriale. Se non sbaglio Lorenzo ha girato 27 carceri. In 26 la sua detenzione è stata totalmente punitiva. Nel ventisettesimo, dopo 15 anni di detenzione, ha trovato le persone giuste. Lui ha l’onestà di raccontare: ‘Io non so se l’avessi incontrate dieci anni prima, se le avrei seguite. La certezza è che non le ho trovate quelle persone’. Questo racconta sicuramente delle falle nel sistema carcerario. Una detenzione che è soltanto punitiva non è affine a quello che dice l’articolo 27 della Costituzione, che il carcere deve tendere alla riabilitazione. Detto questo, però, questa storia è una storia esemplare che può tracciare una rotta, che può indicare una strada”.

Oltre 2 milioni di riproduzioni del podcast non erano nemmeno nella tua più rosea ipotesi…
“Da creatore di contenuti ero consapevole delle potenzialità di questa storia. Ovviamente ho 48 anni, sono anche consapevole che quello che tu ti aspetti è molto difficile realizzarlo, ottenerlo. Per cui se un anno e mezzo fa m’avessero detto ‘lo ascolteranno 100.000 persone, 200.000 persone’, non è che avrei firmato col sangue, però avrei detto: ‘sarebbe un bel risultato’. Il risultato è andato molto, molto oltre. Se pensi che non soltanto ci sono stati 2 milioni di ascolti effettivi del podcast, ma ha generato uno spettacolo teatrale che sta girando, che sto portando in giro in Italia, ha generato un libro che è uscito con Mondadori al 31 gennaio, che sto presentando”.

Numeri sorprendenti. Che spiegazione ti sei dato delle proporzioni di questo consenso?
“Questa è una storia che permette a tutti di riconoscere dei dettagli di se stessi, come la grande letteratura. Non lo dico per presunzione. Lo dico sempre alle presentazioni: ‘Chi non ha mai fatto degli errori? Tutti abbiamo fatto degli errori’. In questa storia sono degli errori più grandi, sono semplicemente evidenziati. Come deve fare la letteratura. Chi non ha mai pensato di aver toccato il fondo, o che la fortuna non si è accanita contro tutti? Abbiamo pensato, in un momento della nostra vita, qualcosa del genere e, dall’incontro con altri esseri umani, avere degli incontri trasformativi, che ci hanno portato da un’altra parte. Questa cosa è straordinaria e permette agli ascoltatori e ai lettori di riconoscersi in questa storia”.

La presentazione del volume al Chiostro di Sant’Orso.

Oggi sei ad Aosta per parlare del libro. Ovviamente è, quello dell’editoria, un mondo al quale sei tutt’altro che avulso, ma nasci come podcaster, come autore radiofonico. Come ti sei sentito nello scrivere?
“Ho accettato la sfida perché, intanto, non volevo semplicemente prendere i copioni del podcast, per quanto fossero curati, e riportarli su carta. Il ragionamento che ho voluto fare è stato dire cosa c’è di diverso dal medium da ascoltare in un medium da leggere. Intanto la parola che nasce per essere detta è diversa dalla parola che nasce per essere scritta. In più, la parola scritta permette di essere ancora più metaforici, di rendere questa storia ancora più metafora. Per quanto il podcast si dica che è un medium assolutamente intimo, sfido chiunque a dire di non essersi mai addormentato con un libro in mano, a letto. E cosa c’è di più intimo che portarsi a letto qualcosa? Ho cercato un linguaggio docile, ma che fosse comunque anche vicino alla trasformazione di Lorenzo. Un linguaggio che portasse il lettore dentro questa storia attraverso dei capitoli abbastanza brevi, ognuno con un titolo molto preciso, peculiare. Spesso sono citazioni dalla mia cultura, che va dalla cultura classica alla cultura teatrale, alla cultura pop appunto, avendo fatto radio per tanto tempo. Per cui c’è dentro da Pasolini a Shakespeare, a Jannacci, a un jingle pubblicitario degli anni ’90 per dire, come titoli, cercando di fare sì che questi titoli fossero in qualche maniera un faro puntato sul tema di quel capitolo particolare”.

Ricapitolando, il podcast ce l’abbiamo, lo spettacolo teatrale anche, il libro sei qui oggi a presentarlo. Manca solo una dimensione… Ci pensi?
“Ci sto lavorando. È un po’ più di un pensiero, nel senso che ci stiamo lavorando. Un lavoro, quello sulla serialità televisiva, che ha mostrato, peraltro, un grande interesse per questa storia. Sto lavorando con una casa di produzione, è un lavoro complesso che io non ho mai fatto prima. Ci si sta lavorando in una forma seria e concreta e se sono rose… Sappiamo cosa faranno”.

Un’ultima domanda. Il podcast finisce, il Milanese non c’è più. C’è però ancora, è immaginabile, il rapporto con Lorenzo…
“Il mio rapporto con Lorenzo è fraterno, non è di stima. Ci sentiamo spessissimo. Tutte le decisioni che abbiamo preso da quando è uscito il podcast, le abbiamo prese insieme, d’accordo. Ci vedremo dopodomani. Passeremo due giorni insieme. Siamo molto, molto vicini. Non soltanto, ovviamente, per questa esperienza, ma siamo vicini perché stiamo condividendo delle cose molto, molto potenti dal punto di vista emotivo insieme. E questo ci unisce”.

Ed è un altro sintomo del trionfo della vita!
“Sì, infatti. Questa storia del milanese non soltanto è una bellissima storia, ma anche ha generato belle storie. E’ una bella storia l’esplosione di interesse che sta avendo. E’ una bella storia come è nata. Sono una bella storia le 10 ore di ascolti. E’ una bella storia che il libro è stato fatto in questa maniera. Ha generato veramente tante energie. Senza voler essere mistici, ma tante energie molto fertili”.

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