“La Valle d’Aosta fatica ad uscire dalla crisi del 2007”

18 Ottobre 2019

La Valle d’Aosta fatica ancora ad uscire dalla crisi del 2007. Seppure il grosso degli effetti, nella regione, si sono visti in ritardo, a partire soprattutto dal 2009, l’onda lunga della “Grande recessione” nata dalla crisi dei subprime negli Stati Uniti non sembra ancora aver abbandonato queste sponde. Tanto che si potrebbe parlare di crisi strutturale. Nell’analisi economica dell’associazione Ires – Lucia Morosini di Torino, commissionata dalla Cgil e presentata questo pomeriggio nella sede regionale di via Binel, si confermano degli aspetti del tessuto socio-economico valdostano che da anni oramai mettono in allarme.

La segretaria regionale del sindacato Vilma Gaillard, ha aperto la sua relazione concentrandosi sulla “scarsa attrattività” che la Valle, storicamente regione di grandissima immigrazione, sta avendo da un decennio a questa parte: “Abbiamo il tasso di immigrazione più basso dell’Italia settentrionale, con la presenza del 6,6 per cento di stranieri – spiega – la regione si conferma poco attrattiva, per via dell’assenza di grandi centri produttivi e di un costo della vita molto alto”.

Non sono soltanto gli stranieri a manifestare poco interesse verso la regione, ma anche i giovani, “per via della limitata offerta formativa”. Questa tendenza, che si somma alla comparsa negli ultimi anni di una nuova schiera di giovani “émigré” all’estero, fa si che ci sia un’importante invecchiamento della popolazione che causa “un basso grado di istruzione e di competenze digitali nel mondo del lavoro, dovuto proprio all’alta età media”.

Lo studio conferma un altro difetto storico – parliamo almeno di una quarantina d’anni – del tessuto produttivo regionale, ovvero la mancanza di aziende medie e grandi: “Il 65 per cento degli addetti nel secondario operano in imprese di piccole dimensioni – racconta Gaillard – e questo porta a retribuzioni più basse”.

Il presidente di Ires Francesco Montemurro, autore dello studio assieme a Valerio Porporato, aggiunge come in Valle d’Aosta “lavorare per le imprese private paghi meno che in tutte le regioni del Nord e meno anche rispetto alla media nazionale”. Tutto questo accade in un contesto di crisi, che vede già la perdita di un terzo del valore aggiunto nel settore edile tra il 2007 e il 2016, che si fa ancora più pesante in quello manifatturiero e arriva fino alla metà negli altri settori.

Altri problemi investono la qualità del lavoro in Valle, che Montemurro definisce “non soddisfacente e forse, nel tempo, preoccupante”. Ad esempio, “il tasso di insicurezza dell’occupazione – registrato dalle indagini casa per casa dell’Istat – è il più alto del Nord Italia, assieme all’Emilia Romagna, con il 5,5 per cento”. In generale, la discesa complessiva delle ore di lavoro (meno 8,5 per cento tra il 2007 e il 2016) e l’aumento di part-time non desiderati e tempi determinati denoterebbe “una precarizzazione generale del lavoro“. “Si cerca soprattutto lavoratori con specializzazione bassa – spiega il presidente – nella ristorazione, nelle pulizie, nel facchinaggio, nei trasporti: e chi ce l’ha elevata, va via”.

Restano forti anche i contrasti all’interno della regione: “Se la ricchezza maggiore, in termini di valore aggiunto pro capite, si concentra in Alta montagna, dove si raggiungono livelli da centro di Milano, nella media montagna e nella campagna urbanizzata si arriva a condizioni simili al Mezzogiorno“, afferma Montemurro. Lo studio evidenzia anche come il maggior valore aggiunto prodotto da Aosta rispetto al resto della regione dipenda quasi esclusivamente dalla Pubblica amministrazione, la quale elargisce stipendi contro i quali quelli del debole settore privato non riescono generalmente a competere.

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