Pensioni e fiscalità, il Savt al Governo Draghi: “Riforme non più rinviabili”
“Dopo tanti proclami e annunci fatti negli ultimi mesi dalle varie componenti politiche riteniamo che sia arrivato il momento per il Governo Draghi di affrontare riforme che non sono più rinviabili e che sono fondamentali per il futuro economico-sociale dell’Italia in un momento in cui è molto importante che il Paese sia maggiormente competitivo, anche alla luce del rilancio che deve necessariamente accompagnare l’utilizzo dei fondi messi a disposizione per il Pnrr”.
A scriverlo, in una nota, il Direttivo confederale del Savt, che aggiunge: “È assolutamente necessario mettere mano alla riforma del sistema pensionistico, in particolare per scongiurare il rischio scalone, che comporterebbe dal 1° gennaio 2022 un aumento di ben sei anni dei requisiti pensionistici, qualora non si trovasse una valida alternativa a quota 100. In questo senso è doveroso che si affronti in maniera seria il tema dei lavori usuranti e gravosi, oltre a trovare forme di flessibilità che permettano alle persone di andare in pensione prima di raggiungere il requisito della vecchiaia”.
Non solo: “Altra riforma che non può più essere rinviata è quella fiscale – aggiunge il sindacato –. In questo caso si deve raggiungere il doppio obiettivo di ridurre l’imposizione fiscale sui lavoratori e allo stesso tempo di ridurre il cuneo fiscale per andare ad alleggerire le imposte a carico delle aziende, con l’obiettivo di creare maggiore occupazione”.
Per dare nuova dignità ai lavoratori, prosegue nella sua nota il Direttivo Savt, “è però fondamentale avere il coraggio di affrontare una volta per tutte la problematica della rappresentanza sindacale e, di conseguenza, delle modalità di contrattazione. Proprio in questi giorni si è aperto il dibattito sull’introduzione del salario minimo. Come Savt riteniamo che definire una soglia minima di retribuzione oraria sia importante, ma sicuramente non deve avvenire con legge. La strada maestra deve rimanere quella della contrattazione”.
Con un obiettivo: “Avere un unico contratto nazionale per settore che sia ‘leggero’ e che stabilisca le regole generali, per poi lasciare spazi importanti alla contrattazione decentrata a livello territoriale e aziendale. Oggi, al contrario, in Italia esistono oltre 900 contratti di lavoro, tutti con la stessa dignità, e troppo spesso ne vengono sottoscritti più di uno nello stesso settore produttivo. Da una parte quelli firmati da Cgil-Cisl-Uil, dall’altra quelli sottoscritti da sigle sindacali autonome e di base. Tutto ciò crea inevitabilmente grande confusione e soprattutto dumping salariale. Per questo è fondamentale una legge con la quale definire i requisiti necessari per sedersi al tavolo di contrattazione”.
E il requisito, sia a livello centrale che a livello territoriale, chiude il Savt, “non potrà che essere quello del raggiungimento di una soglia minima di iscritti. A decidere chi si deve sedere al tavolo devono essere solo ed esclusivamente i lavoratori con le loro iscrizioni, nel pieno rispetto dell’art. 39 sulla libertà sindacale. Nessun altro. Solo così si potrà nuovamente tornare a fare il bene dei lavoratori”.