Saint-Vincent, i commercianti si mobilitano in cerca di risposte per il futuro
Tante incognite continuano a vagare nelle vite di chi, tra qualche settimana, dovrà o dovrebbe riaprire la propria attività nella cosiddetta “fase 2”: mancano delle direttive precise, manca il tempo di organizzarsi, mancano i soldi e le garanzie per poter portare avanti il proprio lavoro. Per discutere di questo, nella mattinata di oggi i commercianti di Saint-Vincent – baristi, ristoratori, gestori di negozi, partite IVA – si sono riuniti nella piazza della Funicolare (con mascherine e distanze di sicurezza), dandosi appuntamento per martedì 5 maggio alle 15.
“C’era il bisogno di guardarci negli occhi e confrontarci per arrivare a delle proposte concrete”, spiega Valerio Artaz, proprietario del Bar Funicolare. “Ci sono delle questioni insormontabili per noi, perché riaprire lavorando al 30%, vuoi per le misure di sicurezza da prendere, vuoi per il calo dei clienti, vuol dire condannarci tutti al fallimento. Mi chiedo anche come mai nei mezzi di trasporto la distanza di sicurezza sia di 90 centimetri mentre nei locali due metri: forse il virus si propaga in maniera diversa?”.
Una riunione di confronto e non una protesta, sottolinea Artaz: “Non ci piangiamo addosso ma non possiamo neanche veder distruggere il nostro futuro stando zitti. Con la riapertura il 1° giugno fanno 90 giorni di chiusura, durante i quali continuiamo a pagare affitti ed utenze. Soldi a fondo perso ed un taglio delle tasse sulle bollette potrebbero essere un piccolo aiuto. Ci siamo comunque dati una settimana per arrivare con delle proposte importanti. Solo che, come ho appena scoperto, nel nuovo decreto si vietano le riunioni creando assembramento. Avremmo dovuto vederci allo stadio Perucca, che ci avrebbe garantito le distanze di sicurezza. Mi sembra assurdo”.
C’è anche chi, come Guido Amato dell’osteria La Rosa Bianca, ha esposto un cartello più eloquente e pensa di non riaprire: “Dovendo lavorare al 50%, se tutto va bene, non ha senso riaprire sostenendo il 100% dei costi, a meno che non ci riducano anche le spese del 50%. Vorrebbe dire fallire in un paio di mesi. Non vogliamo un’elemosina, ma la possibilità di lavorare”. Amato prepara e consegna i pasti alla Croce Rossa di Saint-Vincent: “Non ho aperto alla consegna a domicilio e non credo che il take away risolverà i nostri problemi. Sono cose che possono funzionare nelle grandi città, non nelle piccole realtà come le nostre. Abbiamo sempre pagato le tasse, ora ci sentiamo abbandonati”.