Il “ribaltone” e la telenovela della politica
La parola “ribaltone” fa riaffiorare alla mente tanti stereotipi che hanno caratterizzato, nel nostro Paese, la Prima Repubblica. Quella terminata con Mani pulite negli anni Novanta era una democrazia fatta di governi balneari, staffette, governicchi e di esecutivi capaci di durare da qualche giorno a poche settimane.
E a giudicare dalla cronaca politica degli ultimi mesi, verrebbe da dire che in Valle d’Aosta la Prima Repubblica non sia mai finita. Mercoledì 8 marzo il Consiglio Valle sarà chiamato a votare una mozione di sfiducia al presidente della Regione Augusto Rollandin: uno sgambetto per spodestare l’imperatore con un ribaltone che non può non portarci indietro di quasi trent’anni, quando nel 1990 proprio Rollandin venne fatto cadere da un patto fra Bruno Milanesio (Psi), Alder Tonino (Pds), Maurizio Martin (Adp) e Gianni Bondaz (Dc). Passa qualche anno, e nel 1993 prende il timone della Regione più piccola d’Italia Dino Viérin che rimane in sella per quasi dieci anni.
Sono tanti i protagonisti di quella stagione politica che ritroviamo anche oggi, come se il tempo non fosse passato. Da decenni la Valle d’Aosta vive come in una telenovela sudamericana, di quelle che durano all’infinito e in cui i protagonisti non cambiano mai o – al limite – si fanno sostituire da contro figure che nel migliore dei casi sono i loro figli. E come nella più classica delle telenovele i temi sono le grandi passioni e gli amori, i grandi odi e i rancori. In tre decadi il duello fra Augusto Rollandin e Dino Viérin – poi supportato dal figlio Laurent – non si è mai esaurito, offrendo colpi di scena e capovolgimenti imprevisti a non finire.
Poi ci sono tanti altri rancori minori, che in questi ultimi mesi hanno portato a una battaglia politica senza precedenti. Come nel caso di Pierluigi Marquis e di Marco Viérin c’è l’astio dei defenestrati, di chi faceva l’assessore e poi ha dovuto fare spazio a nuovi alleati, le nuove amanti di turno. Ma già all’inizio di questa legislatura abbiamo osservato sullo schermo il livore di Leonardo La Torre e di Ego Perron pronti a fare il salto della quaglia nei giorni della Renaissance. Abbiamo anche udito le parole moralizzatrici di Albert Chatrian che per anni ha brandito il randello dell’etica e ora, pur condannato per finanziamento illecito, si candida oggi ad assessore alle Finanze.
Da questa cornucopia di risentimenti e di tradimenti, un solo elemento è rimasto fuori dalla sceneggiatura. La Valle d’Aosta. Se fino a qualche anno fa governare una Regione così piccola con una montagna di soldi era relativamente facile, da quando le casse di piazza Deffeyes si sono impoverite la politica avrebbe dovuto dimostrare la capacità di tirare fuori le unghie, le idee per ridare slancio a una regione che altrimenti rischia di rimanere alla periferia d’Europa. Mercoledì in Consiglio regionale, con il voto sulla mozione di sfiducia costruttiva, assisteremo invece all’ennesimo spettacolino in cui partiti e movimenti col fiato corto faranno fatica a gestire i dossier urgenti che si troveranno sul tavolo. A cominciare dal Casinò.