La crisi, la fronda interna, il futuro. Lavevaz: “Sento parlare di nuova Union senza l’Union: è strano”
Non è forse un caso che nei giorni in cui torna al centro della politica valdostana la parola “Reunion”, una nuova scissione s’intraveda all’orizzonte. La frattura fra una parte del Leone rampante che fa capo al presidente della Regione Erik Lavevaz e l’altra collegata al gruppo dei “colonnelli” sembra, al momento, difficile da ricucire. Martedì, dopo il Conseil Fédéral, Erik Lavevaz consegnerà nelle mani del Presidente del Consiglio le proprie dimissioni, quindi mercoledì ci sarà la presa d’atto in Consiglio regionale. Da quel momento scatteranno i 60 giorni, previsti dalla legge, per individuare un nuovo presidente e una nuova Giunta, pena il ritorno alle urne. In questi due mesi toccherà al vice presidente Luigi Bertschy guidare il governo, che rimarrà in carica per l’ordinaria amministrazione.
Presidente Lavevaz, partiamo dalle dimissioni: era veramente l’ultima carta del mazzo da giocarsi? E se sì, perché?
Ci ho riflettuto a lungo, una riflessione che avevo già fatto nel mese di novembre quando vedevo che avevo davanti un vicolo cieco, dal quale non riuscivo a uscire in nessun modo, per portare a termine quanto mi era stato chiesto dal mio movimento: completare la Giunta, restando a 18. A novembre poi eravamo vicini al Bilancio e ho cercato di tenere la crisi fuori dal palazzo. I tempi sono ora maturi, i movimenti interni sono evidenti, c’è un fermento che in qualche modo deve essere risolto. Queste mie dimissioni spero facilitino una ricostruzione in una direzione o in un’altra.
Perché si è arrivati a questo punto? Cosa è successo dal mandato ricevuto a giugno del Conseil ad oggi?
Prima di giugno avevamo fatto dei passaggi esplorativi per cercare di trovare delle soluzioni, si era parlato anche con la Lega. Il Conseil fédéral aveva definito a giugno questa linea, che ho cercato di portare avanti. E’ di tutta evidenza che non era la volontà del mio gruppo, il gruppo tirava da una parte, io dovevo chiudere dall’altra e nel mezzo ci sono state le politiche, che sono state un passaggio difficile da gestire. Abbiamo avuto, secondo me un risultato molto importante e quasi inatteso, abbiamo rischiato di fare il due a zero, contro un centrodestra che in Italia ha stravinto praticamente ovunque. Un risultato che dava in qualche modo anche ragione all’indirizzo intrapreso dal Movimento. Devo dire però che, dopo le elezioni politiche, le cose si sono complicate e le tensioni interne erano ancora più evidenti. Questo passaggio è diventato, quindi, inevitabile, anche se doloroso.
Il disegno di alcuni suoi colleghi di maggioranza è stato fin dall’inizio quello di un governo con la Lega?
E’ vero, e in molti non l’hanno mai nascosto. Se si fa parte di un Movimento si discute, si hanno delle idee legittimamente diverse, ma poi quando il movimento definisce una linea, quella bisogna cercare di portare avanti. Così ho sempre cercato di fare, al di là del fatto che le linee del movimento le ho sempre condivise.
Eppure c’è stato un momento in cui anche Lei sembrava essere d’accordo su un’alleanza con la Lega. Cosa è cambiato nel mentre?
Non è assolutamente così. Non voglio commentare quella lettera (Nda la missiva dei quattro consiglieri Uv), nella quale c’è una densità di fantasie e contraddizioni piuttosto ampia. In quel passaggio lì avevamo il mandato del movimento per esplorare tutte le soluzioni possibili per capire quale potesse essere la strada migliore per una maggiore stabilità. Con la Lega abbiamo avuto anche dei fitti incontri, parlando anche di ipotetici organigrammi. La cosa che non è stata volutamente detta era che io, fin dall’inizio, all’interno del gruppo, ero il più scettico su questo percorso, primo perché ho sempre pensato che non fosse la soluzione più opportuna, e poi ho sempre detto che quella sarebbe stata una scelta che il Conseil Fédéral non avrebbe mai accettato. Non ho mai sollecitato quel tipo di passaggio. La cosa un po’ strana che non hanno detto, è che in quella fase lì, ero l’unico aspetto non messo in discussione. Lì andavo bene.
Ha avuto una lunga carriera da sindaco, come ricordano i suoi colleghi di gruppo, ma al momento di assumere l’incarico da Presidente aveva poca esperienza come amministratore regionale. Ha fatto il passo più lungo della gamba?
Non l’ho cercato io l’incarico da presidente della Regione e non non ho sgomitato per farlo. Ci siamo trovati in questa situazione a inizio legislatura, ho cercato di fare quello che potevo fare al meglio delle mie possibilità.Vorrei vedere chi possiede tutte le carte in regola per fare il presidente della Regione, senza se e senza ma, anche fra quelli che hanno firmato il documento. Facile dare giudizi, meno facile fare autocritica. Al contrario di quanto scritto io autocritica l’ho sempre fatta, sono conscio dei miei limiti, so di aver fatto degli errori e che molte cose avrei potuto farle meglio.
Anche negli ultimi passaggi, la mia figura non è stata mai stata messa in discussione, quindi in un anno e mezzo le cose non hanno funzionato tanto male all’interno della maggioranza. Poi le cose sono degenerate dopo le politiche, ne prendo atto, sono capace anch’io a fare un’autoanalisi e come scrivono poi nella lettera, sarà la storia a giudicare.
E’ davvero necessaria ora la convocazione del Conseil Fédéral? Per andare a votare cosa? Non c’è il rischio che il movimento si frammenti ancora di più?
Ho le idee molte chiare su questo, perché ho avuto la fortuna di guidare il movimento in due anni molto difficili. E’ esattamente il contrario, dovremmo farne uno a settimana. Confrontarsi con il Movimento non vuol dire andare al Conseil con le idee chiare e ratificare quanto già deciso, come si faceva una volta. E’ proprio in questa fase di discussione che bisogna parlarsi e uscire con una linea. E’ impensabile rinviare un Conseil in un momento in cui c’è una confusione politica tale e con la novità delle mie dimissioni, sarebbe una mancanza di rispetto del ruolo del movimento. Il Conseil va fatto, se bisognerà poi ritrovarsi la settimana dopo ben venga, è lì che dobbiamo parlarci e discutere.
Ci sono posizioni molto diverse in questo momento, c’è il gruppo consiliare che a stragrande maggioranza ha un’idea, il Comité a stragrande maggioranza ne ha un’altra, come possiamo pensare di fare una sintesi da portare al Conseil? Se ci saranno poi aspre discussioni in politica sono anche normali.
Perché le dimissioni saranno depositate solo martedì?
Solo per una questione di rispetto verso il mio movimento, questo non cambia nulla, l’importante è che siano depositate prima dell’adunanza del Consiglio. Sono dimissioni irrevocabili.
Se potesse tornare indietro cosa non farebbe e cosa invece ripeterebbe nei due anni e mezzo di legislatura?
Tante cose potevamo essere fatte meglio, sopratutto il primo anno è stato molto complesso nella gestione dell’emergenza Covid. Lì ogni decisione poteva sembrare un errore. Sono stati sicuramente i passaggi più difficili.
Fra le cose che farei diversamente, per quanto ci ho provato, è facilitare il dialogo all’interno della maggioranza, fra maggioranza, gruppi e movimenti, quello è il problema. Non so se si poteva fare di più, soprattutto quando ci sono volontà divergenti. Negli ultimi due mesi ho preso coscienza che la situazione fosse troppo compromessa.
Qual è la cosa che le ha fatto più male in queste ultime settimane?
Le parole no, perché in politica non bisogna prendersela, altrimenti diventa difficile fare quest’attività. Mi dispiace di più per i rapporti umani che sono andati a farsi benedire nelle ultime settimane, anch’io avrei dovuto fare qualcosa di più per salvarli.
Parlava prima di fermento politica, cosa ne pensa del manifesto Orgueil Valdotain, venuto alla luce ieri?
Non credo che sia un caso il fatto che sia uscito ieri. Sicuramente ci sono dei legami con quanto sta avvenendo, ci sono delle idee anche rispetto alla maggioranza attuale. Sicuramente il fatto che ci sia una vivacità di dialogo acceso all’interno dei movimenti autonomisti è un fatto positivo, dall’altra molte cose le abbiamo già sentite.
Mi fa strano che si parli comunque di una nuova Union senza l’Union. Ci va un po’ di rispetto per l’Union, che è un movimento organizzato con centinaia di aderenti, dove gli organismi funzionano. Sicuramente non c’è un altro movimento in Valle d’Aosta che riesce a mettere in una sala cento persone a parlare di politica. Per questo proprio dire costruiamo qualcosa di nuovo, in maniera esterna da quello che c’è, mi sembra strano.
Il manifesto è condivisibile, ma dice le stesse cose che diciamo da quattro anni con le altre forze politiche, un percorso di quattro anni, che al netto delle bagarre di questi ultimi mesi che non aiutano, negli ultimi anni di passi avanti ne ha fatti. Abbiamo parlato tanto di questa Reunion, ma di fatto l’abbiamo portata avanti, almeno nell’idea che avevo io, ovvero di lavorare insieme in modo credibile, mettendo insieme le basi, che potessero riconoscersi in qualcosa di simile. Il passaggio delle politiche va in questa direzione e il risultato è positivo. Adesso dobbiamo formalizzare questi quattro anni fatti insieme, ma tutto questo dipende da quanto accadrà nelle prossime settimane. Se ci sarà ora una lacerazione dolorosa sarà difficile.
La intravede dietro l’angolo?
Non lo so, spero che non sia così. Ci sono segnali però non troppo positivi.
Quale governo e maggioranza attendono ora la Valle d’Aosta? Lo scenario Lega con una parte degli autonomisti e una parte dei consiglieri del suo gruppo è plausibile?
Può essere che ci sia una scissione, non so dire se sarà quella più probabile, spero che i gruppi rimangano compatti. La situazione la vedo però piuttosto tesa.
Per quanto ci riguarda ci sarà un’ampia discussione lunedì, da lì capiremo in quale direzione lavorare per una ricostruzione. Spero che possa riguardare l’area autonomista e progressista come ho sempre detto, ma mi rendo conto che abbiamo minato tutti i pilastri della maggioranza attuale. Al momento ci sono solo cocci, ma rimango dell’idea che quella è l’area dove ricostruire una maggioranza per la seconda parte della legislatura. L’alternativa sul centrodestra è più complessa. Se poi il mio movimento deciderà di andare in quella direzione, ne prenderò atto.
Il problema dell’instabilità della politica valdostana sta nelle persone o nelle mancate riforme della legge elettorale?
Le due cose hanno una componente di responsabilità, non so se paritaria, ma sicuramente importante. Ho sempre detto che il grosso cancro della politica valdostana è la personalizzazione, dovuta al fatto che siamo piccoli e quindi ognuno conta di più rispetto a realtà più grandi. C’è una perdita di forza dei movimenti, che hanno sempre meno incisività rispetto all’attività politica dell’amministrazione regionale. E’ il problema più grande. Guardando alla situazione attuale se gli eletti seguissero alla lettera le indicazioni dei movimenti, avremmo avuto una possibilità di andare avanti, anche senza allargarci dai 18 consiglieri attuali.
Una riforma è sicuramente necessaria, non so in che termini, io ho un’idea, di cui si discuterà. Non credo che una riforma debba passare per forza attraverso l’elezione diretta del Presidente della Regione, non sono contrario per partito preso, ma credo che non sia quella l’unica medicina possibile. La prima patologia è più difficile da curare , la seconda si può con una buona riforma che dia prospettive diverse.
Cosa c’è ora nel futuro di Erik Lavevaz?
Il mio futuro è sereno. Cercherò di fare del mio meglio nel ruolo di consigliere, vedremo in che termini, se saremo all’opposizione o in maggioranza. Avrò più tempo per fare politica, per dare una mano al movimento, cosa che mi fa piacere. Avrò più tempo anche per la famiglia. Questi due anni sono stati belli e arricchenti da tutti i punti di vista, ma totalizzanti dal punto di vista degli impegni e della testa.