Politiche, Enrico Letta: “Con il Pd l’autonomia della Valle d’Aosta non è in discussione”
A due giorni dal voto per le elezioni politiche di domenica 25 settembre abbiamo intervistato Enrico Letta, segretario del Partito democratico, movimento che in Valle d’Aosta candida, in coalizione con le forze autonomiste, Franco Manes alla Camera e Patrik Vesan al Senato.
Lei ha criticato la campagna elettorale della Lega su un’eventuale autonomia del Veneto. Molti, anche in Valle d’Aosta, considerano inoltre il Pd un partito fortemente centralista. Nel caso di vittoria del centrosinistra l’autonomia valdostana può dormire sonni tranquilli o no?
Certo che sí, l’autonomia della Valle d’Aosta non è in discussione in alcun modo. Il PD ha sempre difeso il valore delle autonomie locali. Le faccio un esempio concreto: da presidente del Consiglio ho firmato un Memorandum condiviso per l’aggiornamento dell’autonomia altoatesina con l’allora Presidente della Provincia Durnwalder. Ciò a cui siamo contrari è la visione che la Lega ha dell’autonomia: un pretesto per spaccare il Paese, che nulla ha a che vedere con i valori, la storia e la straordinaria diversità dei territori italiani.
La Valle d’Aosta è una delle regioni che beneficia mediamente meno del Reddito di cittadinanza ma la questione rimane: va cancellato, sostituito o riformato? Da cosa e come, in questi ultimi casi?
Va modificato. Il reddito di cittadinanza è stato ed è tuttora uno strumento importante di lotta contro la povertà. Basti pensare che, da quando è stato introdotto, ha impedito che più di un milione di persone scivolasse sotto la soglia della povertà assoluta. D’altra parte, il reddito non sta funzionando nella parte che riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro. La nostra proposta è quindi rivedere quella parte, disincentivando la percezione passiva del reddito e migliorando i criteri di erogazione.
Un vostro alleato a livello nazionale, Sinistra italiana, qui appoggia una lista avversaria del Pd. Non teme che questi niveaux différents creino confusione nell’elettorato di sinistra?
No, perché in Valle d’Aosta come in Italia lo schema è chiaro. Ci sono solo due coalizioni che possono giocarsi la vittoria. O la destra di Meloni, Salvini e Berlusconi. O la coalizione autonomista e progressista, sostenuta dal PD. E’ una scelta secca, da una parte o dall’altra. Soprattutto in Valle d’Aosta, dove viene semplicemente eletto il candidato più votato, perché la legge elettorale regionale non prevede una parte proporzionale. Le elettrici e gli elettori progressisti sapranno chi scegliere per avere i propri rappresentanti in Parlamento.
In molti programmi dei candidati valdostani c’è un rilancio della Zona Franca. È un’operazione praticabile? Un eventuale governo di centrosinistra come si porrebbe di fronte a queste richieste?
La Zona Franca è uno strumento complesso, ma permesso dal codice doganale dell’Unione europea. Se pensata fuori da retoriche e populismi, può essere realtà. Ma serve anche sapere che se applicata male aumenterebbe solo la burocrazia. Serve competenza, ma la destra valdostana ne ha fatto una promessa vuota. Un governo di centrosinistra partirebbe da modelli più semplici da attuare e con un ritorno economico più rapido, a partire da deroghe sugli aiuti di Stato e fiscalità di vantaggio per le zone alpine a rischio spopolamento, come abbiamo proposto anche per le isole.
La Valle d’Aosta vive un problema serio: i comuni di montagna sono, da tempo, a forte rischio di spopolamento. Come si arresta il fenomeno o, quantomeno, si inverte la rotta?
Garantendo che i servizi di cittadinanza siano sempre accessibili, in un tempo e una distanza ragionevole, indipendentemente da dove si vive. Questo significa innanzitutto investire nella sanità pubblica e territoriale, che ha bisogno di risorse e visione per funzionare in montagna. Ma anche riconoscere il valore sociale delle attività commerciali, che devono godere di esenzioni fiscali quando offrono servizi che altrimenti non sarebbero presenti sul territorio. La montagna deve essere vissuta, non può essere solo un luogo di villeggiatura per chi viene qui il weekend.
Il caro energia fa tremare tutti, compresi gli impianti a fune. La paura, dopo gli anni di pandemia, è che si sia costretti a nuove chiusure. Il che, per una regione che si vuole turistica, sarebbe la fine. Come si risolve il problema?
Stanziando tutte le risorse necessarie perché le imprese non debbano chiudere. Oggi l’immobilismo costerebbe molto più di qualsiasi intervento. Ma la prima cosa da fare è introdurre un tetto al prezzo del gas, per evitare che le misure adottate alimentino speculazioni. Serve poi potenziare ulteriormente ed estendere il credito d’imposta per le imprese. E lanciare un grande piano per le rinnovabili, per ridurre in maniera strutturale il prezzo delle bollette, ridurre la dipendenza dall’importazione di gas e aiutare l’ambiente.