Riforma costituzionale: “I valdostani? Non devono mai stare tranquilli”
All'inizio del 2000, il dibattito ormai maturo sul federalismo stimolava lo studio sulle sperequazioni tra le regioni, ovvero le disparità di trattamento da parte dello Stato nei loro confronti. Questa crescita di attenzione evidenziava, a beneficio dello scenario politico nazionale, il "privilegio" degli abitanti nelle regioni a Statuto spieciale, Valle d'Aosta compresa, mettendole perciò in pericolo.
Ora bisogna votare sulla riforma Renzi-Boschi della Costituzione: "Una riforma con un segno culturale centralista, almeno riguardo alle regioni a statuto ordinario", per dirla come il professore di diritto costituzionale dell'Università di Brescia Antonio D'Andrea. Neanche a dirlo: gli Statuti speciali, Valle d'Aosta compresa, sarebbero di nuovo in pericolo.
"I valdostani non devono mai stare tranquilli", ci scherza su il professor Massimo Cavino, docente anche lui di diritto costituzionale dell'Università del Piemonte.
La serata organizzata nella biblioteca di Saint-Christophe dal gruppo di minoranza consiliare del paese ha avuto un ottimo riscontro di pubblico: sala piena, due ore abbondanti di dibattito, più di cento persone presenti. Al momento degli interventi da parte degli spettatori si è capito che gran parte dell'interesse verteva sui destini della Valle.
Nel dibattito, con la moderazione del giornalista de La Stampa Daniele Mammoliti, si è cercato di allargare il discorso, su una riforma che ha aspetti di carattere nazionale vastissimi, tanto da rendere impervio per l'elettore comune votare nel merito. Questo fattore, non a caso, è alla base del ricorso presentato dal costituzionalista Valerio Onida, che mira a spacchettare punto per punto i quesiti referendari. Un dato è certamente rilevante: Cavino, che consiglia di votare "sì" al referendum del 4 dicembre, e D'Andrea, che invece è per il "no", hanno una lettura nei fatti della riforma molto simile, anche se questa li porta comunque a conclusioni opposte.
Riguardo alla Valle d'Aosta, secondo Cavino "un percorso di riforma degli Statuti speciali è molto lontano, anche perché prima bisognerebbe modificare i meccanismi di revisione dello Statuto, un iter molto più complesso di quello normale". Il problema comprende principalmente la modifica, da parte della riforma, del Titolo V della Costituzione. Per quanto riguarda le regioni a Statuto ordinario, queste modifiche hanno un assetto centralista, riportando le competenze concorrenti sotto l'egida statale. "Questa riscrittura del Titolo V però non tocca immediatamente gli Statuti speciali – afferma anche D'Andrea – fino a quando non ci sarà una revisione sulla base di un'intesa: intesa che però non si capisce come sarà regolata".
A preoccupare il fronte del no è il lavoro del tavolo tecnico sulle Speciali presieduto dal sottosegretario agli Affari regionali, il democratico Gianclaudio Bressa. Per farla breve, nella prima bozza che regolerebbe quest'intesa da trovare tra Stato e Regioni autonome sulla revisione degli Statuti gli equilibri di potere sono molto sbilanciati a favore del primo. "Gli Statuti speciali sono stati esclusi dalla revisione del Titolo V per ragioni tattiche – sostiene D'Andrea – mancavano i numeri, ma se avesse potuto ridurre l'autonomia anche a queste regioni questo Governo l'avrebbe fatto".
Tuttavia, sempre secondo D'Andrea, questo nuovo centralismo, che vede in teoria la riduzione dei poteri delle regioni ordinarie rischia di restare solo uno slogan: "L'articolo 5 della Costituzione (non modificabile, ndr) riconosce e promuove le autonomie locali – ricorda il docente – per questo motivo, quando cominceranno conflitti tra Regioni e Stato è concreta la possibilità che la Corte costituzionale si schieri dalla parte delle regioni".
"Io non vedo questa grande ostilità nei confronti delle speciali – ha affermato invece Cavino – anzi, il regime transitorio che sarà in vigore prima di questa intesa, darà ulteriori possibilità di ampliare l'autonomia: le Regioni autonome sono infatti ammesse ad utilizzare il nuovo articolo 116, che prevede più poteri su richiesta alle regioni virtuose, anche a quelle ordinarie".
A rendere diffidente il comitato del no restano altri elementi, come il fatto che questo regime transitorio che prevede "la previa intesa tra Stato e regioni" decada di fatto ad ogni eventuale successiva modifica costituzionale. Questo però non significherebbe la loro immediata soppressione: "Se è vero che nel passato le Autonomie speciali qualche treno se lo sono perso – commenta Cavino – francamente non vedo possibile che oggi si possano superare le autonomie: per molte ragioni storiche l'esistenza delle speciali garantisce quella delle regioni ordinarie".
"Quel che è certo è che la carta costituzionale viene variata in modo peggiorativo delle autonomie degli enti locali", conclude D'Andrea. Restano dunque da una parte le preoccupazioni di un colpo di mano dall'alto, mentre da quella del fronte del sì si mira a rassicurare che così non sarà.
Un dato resta certo e potrebbe contribuire a togliere un po' di peso sulla scelta dell'elettore valdostano. Se autonomia regionale è anche autonomia finanziaria, l'entità del bilancio regionale è crollato di quasi la metà nel giro degli ultimi sette anni. La tendenza è cominciata quando quasi tutto l'arco parlamentare si diceva ancora federalista e non è servita nessuna modifica costituzionale.