Afta epizootica, è allerta in Germania. Orusa: “Nessun pericolo per l’uomo”
Nei giorni scorsi è stata lanciata un’allerta dal punto di vista europeo: per la prima volta dopo 35 anni, in Germania – e precisamente nel Land di Brandeburgo, lo Stato federale che “cinge” la capitale tedesca – è stata riscontrata la presenza di un focolaio di afta epizootica. Una malattia acuta – Foot and mouth disease – che colpisce bovini, ovini, suini.
Il tasso di mortalità è generalmente basso, attorno al 5 per cento, ma il virus è altamente diffusivo ed i suoi sintomi ben specifici: stato febbrile, diminuzione dell’appetito, salivazione eccessiva e – essendo un’afta – la “classica” formazione di “vescicole” sulla lingua, gli zoccoli e le mammelle degli animali.
È proprio l’alta possibilità di diffusione dell’afta epizootica – principalmente attraverso l’aria, ma anche attraverso attrezzi agricoli, indumenti, veicoli – ha fatto sì che la Germania prendesse la situazione molto sul serio. Anzitutto, con l’abbattimento di una mandria di 14 bufali nei quali era stato individuato il focolaio, poi con la chiusura precauzionale dei due zoo di Berlino ed il divieto, per 72 ore, di trasportare animali in tutto il Land.
La chiarezza prima di tutto: “Non c’è da allarmarsi in nessun modo per noi umani – spiega il dottor Riccardo Orusa, direttore della Struttura complessa per l’Area della nostra regione dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e direttore scientifico del Centro Nazionale di Referenza Malattie degli Animali Selvatici –. Dobbiamo vigilare e mettere assieme i corredi di diagnostica differenziale correlata. Possiamo dire, con ragionevole certezza e anche oltre, che per la salute umana il rischio è praticamente nullo. Non c’è. Se un umano dovesse avere un contatto diretto con un animale infetto nulla succederebbe, né se dovesse avere contatti con il cibo di origine animale”.
“È un virus della famiglia picornaviridæ, di genere aphtovirus – prosegue Orusa –. La sua diffusibilità può arrivare tranquillamente al 100 per cento, mentre la mortalità normalmente è inferiore al 5 per cento. Ad essere colpiti sono suini, bovini, bufalini ma anche animali selvatici come i cervidi e, anche se a noi interessa meno tranne per le eventuali presenze di circhi, anche gli elefanti e le giraffe”.
E i contatti possono non mancare: “A livello di situazione infettivologica – dice ancora il direttore dell’Istituto zooprofilattico –, il vento trasporta il virus inalato dagli animali, mentre sono compresi i prodotti di origine animale ai quali si aggiungono i carri ferroviari, le auto, gli autocarri, i residui alimentari, i recinti dove possono rimanere delle secrezioni ed i pascoli, come anche le stalle. Dove c’è una concentrazione di capi, ovunque essi siano, anche gli animali selvatici come cervi, daini e caprioli possono avere dei contatti”.
Sempre riguardo i selvatici, che più facilmente si spostano di zona e possono diventare “vettori” dell’afta epizootica, Orusa spiega: “La sintomatologia è molto, molto rara. Probabilmente, può esserci qualche leggera papula sulla parte esterna della gengiva, mi è capitato di vederle personalmente su qualche elefante in Asia. E, senza una buona visita clinica che lo conferma, è praticamente quasi impossibile vederla”.
Nessun rischio per l’uomo e nessuna preoccupazione per un virus il cui ultimo episodio in Italia è stato registrato nel 1993, nel 1988 in Germania – ma allora era la Bassa Sassonia – e, generalmente, eradicato dall’Europa nel 2011. L’ultimo caso nel continente, quattordici anni fa, era stato intercettato in Bulgaria.
Nessun rischio per la salute umana, come detto, ma molta attenzione: “Non c’è da allarmarsi – chiude Orusa –. L’Italia, come sempre ha il Ministero della Salute, le Regioni, le autorità competenti e gli Istituti zooprofilattici. Una rete formidabile. E abbiamo il Centro di referenza nazionale per le malattie degli animali selvatici. Non è mai piacere ma siamo preparati ed organizzati”.