Al Palaindoor, nell’umanissima “catena di montaggio” dei vaccini anti-Covid
Non è il modo in cui un manuale di buone pratiche pubbliche prevede debba succedere, ma è andata così. Scopro della mia prenotazione vaccinale contro il Covid19 praticamente per caso nel weekend, controllando il portale “Health VdA” subito dopo aver verificato la posizione di una parente. Eppure, a inizio campagna, avevo caricato i dati di contatto, ma nessun messaggio. Lo scrupolo di capire perché sia spuntato un appuntamento, nonostante l’età inferiore alla fascia del periodo (per scoprirla basta leggere il pezzo fino alla bio in fondo), si esaurisce con un paio di telefonate a persone che so aver condiviso, in passato, una patologia oncologica: anche loro hanno una convocazione.
Compilare i moduli, risparmiare tempo
Il mancato avviso iniziale resterà, dopo l’esperienza vaccinale, il solo aspetto su cui si possa muovere qualche appunto. All’arrivo al Palaindoor di Aosta (dove il parcheggio nei dintorni, tutto sommato, non manca) non ci sono più di 2-3 persone in coda. Sono in netto anticipo sull’orario assegnatomi, ma per il Vigile del fuoco dietro il banchetto all’esterno della struttura non è un problema: controlla che il nominativo sia nella lista del giorno, verifica la tessera sanitaria (che conviene avere già a tiro) e passa la palla a un volontario accanto a lui. Ha il compito di accertare se la modulistica di consenso e sulle proprie condizioni (disponibile in Internet) è già compilata.
Ho fatto i “compiti a casa” (malgrado aver dimenticato nome e telefono sul secondo modulo, ma non è un errore da bocciatura), quindi vinco l’accesso diretto al Centro (chi non risultasse così preparato, comunque, viene assistito alla compilazione in altri due gazebo accanto all’ingresso). Il segno sul pavimento, sul quale posizionarsi per la rilevazione della temperatura, evidentemente è stato studiato senza pensare a qualcuno alto quasi due metri, ma l’uomo con la tuta della protezione civile non perde il sorriso: un passo avanti e uno indietro fanno trovare al sensore la giusta misura e, scoperta l’assenza di temperatura, continuo verso il primo piano.
A tu per tu con il dottore
L’impiegata dell’accettazione consegna un cartoncino rosso con un numero, con il quale verrò chiamato per il colloquio con un medico. Ho il 260, ma appena raggiungo una sedia per l’attesa nella sala echeggia già quello subito prima. Resto seduto meno tempo di quanto l’addetta alla sanificazione ne spenderà per detergere la seduta appena alzatomi. “Giornalista?” chiede il dottore, una volta letti i dati. “Sì”, rispondo pensando a quanto (troppo) spesso scordi di vivere in una comunità di dimensioni non madornali. Le domande successive, però, le fa lui e riguardano terapie in corso e farmaci in via d’assunzione (è importante indicarli tutti nel formulario).
L’assegnazione di una classe di rischio vaccinale e la scelta della data per la dose di richiamo (nel giro di tre settimane, essendo destinato a ricevere il siero Pfizer) sono i passi successivi. Consegnandomi gli attestati per l’ingresso al box d’inoculazione, il dottore affida un consiglio al cronista: “dovreste parlare di più degli assembramenti che le aperture di questi giorni creeranno”. Trova un interlocutore sufficientemente convinto, perché – come ribadisco – “arancione non significa ‘libera tutti’” e “la via d’uscita da questa situazione passa per il capire ognuno delle cose e comportarsi di conseguenza”. L’ennesimo sorriso del pomeriggio accompagna la risposta: “Per l’appunto”.
Dentro il box
Nella sala ove avvengono le vaccinazioni c’è più gente, ma si resta a distanza e l’attesa continua ad essere questione di minuti, regolata da operatori sanitari che fanno collimare i movimenti di ognuno come gli ingranaggi nella cassa di un orologio d’antan. Nel box “B” mi aspetta un’infermiera mora, che avverto della mia paura atavica per tutto ciò che somigli vagamente ad un ago. La verità è che ci metterà di più a spiegarmi di trattare l’eventuale indolenzimento al braccio (ho scelto il sinistro) con ghiaccio ed arnica e di prendere del paracetamolo nel caso di febbre che a praticare il vaccino. Se siete fatti (male) come chi scrive, pensate alla puntura di una zanzara: l’inoculazione è meno fastidiosa.
L’attesa finale: spazio ai pensieri
Non manca che l’ultimo spostamento. Quindici minuti (che possono diventare di più, se si sono segnalate nel colloquio iniziale delle allergie) in una “sala d’attesa” conclusiva, in cui verificare l’assenza di reazioni avverse immediate e poi si può tornare a casa. Un tempo, scandito da un orologio sulla parete, dopo il quale la permanenza complessiva nella struttura non arriverà a mezz’ora, in cui pensieri e sensazioni si rincorrono. Difficile ricacciarne indietro soprattutto due. Anzitutto, che quella allestita al Palaindoor (e non c’è motivo di dubitare che negli altri poli vaccinali della Valle sia lo stesso) sia una vera e propria “catena di montaggio”, ma con umanità e tatto dei vari operatori in dosi sinceramente insolite. In quanto tale, però, per scaturire i risultati sperati deve essere alimentata a getto continuo, altrimenti si “grippa”.
Ebbene, il sito della campagna valdostana dice che nella giornata di ieri, martedì 27 aprile, sono state erogate 685 prime dosi (portando il totale dei valdostani che hanno ricevuto almeno una dose a 31.567). Se, considerando i richiami (concentrati al mattino), si centrano i ”target” quotidiani paventati dalle autorità regionali negli scorsi giorni, le cronache quotidiane raccontano ancora diverse difficoltà. A quanto emerge, riguardano le defezioni all’ultimo minuto e le informazioni per contattare i potenziali vacccinandi, date in particolare da numeri di telefono non più attivi (per cui sono in via di definizione soluzioni alternative, come la collaborazione con le forze dell’ordine), ma ripensando a come (non) ho saputo della prenotazione assegnatami la percezione è che quello della pianificazione resti lo stadio critico dell’attività (cui gli operatori “sul campo” suppliscono con magistrale capacità di adattamento).
La lezione della pandemia
Sarebbe ipocrita tacere che sull’attuazione del piano vaccinale in Valle è aperta anche un’inchiesta, per stabilire se oltre alle comprensibili difficoltà siano state commesse delle irregolarità. Resta che, sul piano operativo, nella storia degli sforzi sostenuti dalla “macchina amministrativa” valdostana in momenti difficili, non è spropositato paragonare quello in corso per le vaccinazioni a quanto visto nel post-alluvione del 2000. Se l’amministrazione regionale riuscisse a capitalizzare il principio per cui tali termini di risposta debbano ispirarne la performance non solo in emergenza, sicuramente non si potrebbe cancellare il dolore per oltre 450 vittime, ma la Valle supererebbe l’esame della pandemia con un valore aggiunto. Perché quel “capire delle cose e comportarsi di conseguenza” vale anche per chi governa. E se proprio ve lo chiedeste, quindici ore dopo il vaccino c’è stato bisogno solo di un po’ di arnica.