Alla “casta” dei radiologi valdostani 60 euro l’ora non bastano. Usl costretta a rivolgersi a Ivrea

06 Maggio 2013

Tempi di attesa più lunghi e azienda Usl costretta a ricorrere al privato, con un aggravio di costi per la sanità pubblica. E’ caos nella radiologia valdostana.
Nel novembre scorso la Corte dei Conti ha voluto fare chiarezza sul sistema delle prestazioni aggiuntive dell’Azienda Usl della Valle d’Aosta, utilizzate in accordo con l’Assessorato regionale alla Sanità, per abbattere le liste d’attesa. A insospettire i magistrati contabili sembra essere stato il compenso ricevuto da alcune figure professionali come il personale medico e tecnico di radiologia per le prestazioni rese. Se infatti in tutta Italia le prestazioni aggiuntive sono regolate secondo le norme contrattuali – cioè vengono pagate per i medici 60 euro all’ora (32 per i tecnici di radiologia) – in Valle d’Aosta negli ultimi anni le ore aggiuntive rese, in regime di libera professione all’Azienda Usl, venivano pagate a esame effettuato ovvero tre volte e mezzo tanto. “Guardando le tabelle del 2011, quando le maglie erano ancora larghe – spiega Giancarlo Rosso della Cgil – un medico dirigente di radiologia ha guadagnato in un mese per le prestazioni aggiuntive 5100 euro mentre se fosse stato pagato a ore avrebbe preso 1500 euro”.

Le Lpa (le libere professioni agevolate) sono quindi state dapprima sospese e poi, in accordo con la Regione, si è deciso di farle ripartire, solo per infermieri e radiologi, incaricando l’Usl di regolamentarle. Il 31 gennaio l’Usl autorizza quindi i radiologi che hanno manifestato la propria disponibilità individuale a effettuare le prestazioni aggiuntive, impegnando 200 mila euro e stabilendo che la rendicontazione avvenga mediante timbratura o altra certificazione di pari valore legale. Inoltre nella delibera si specifica il numero e il tipo di esami richiesti (ad esempio 1370 ecografie, 1876 risonanza magnetiche e 5770 radiografie). L’11 febbraio però l’Assessorato regionale alla Sanità invita l’Usl ad annullare l’atto in quanto, come si legge in una lettera inviata al Direttore generale “non risultano le condizioni alle quali il personale si è reso disponibile ad effettuare le prestazioni richieste, i criteri e le modalità che hanno determinato la quantificazione delle prestazioni aggiuntive e non si ritiene corretta la rilevazione con modalità diverse dalla timbratura”.

Insomma l’Assessorato alla Sanità ribadisce che, anche per i radiologi, bisogna applicare le norme contrattuali ovvero vanno pagati 60 euro all’ora e devono sottostare all’obbligo di timbratura. Condizioni probabilmente inaccettabili per il personale medico e tecnico di radiologia che nell’aprile scorso ritira la propria disponibilità a svolgere prestazioni aggiuntive obbligando l’Usl a rivolgersi all’esterno per porre rimedio a liste d’attesa divenute insostenibili e per fare ripartire gli screening mammografici, sospesi per 4 mesi circa.

“Non posso intervenire sulle scelte individuali” spiega il Direttore generale, Carla Stefania Riccardi, che conferma come i radiologi valdostani abbiano fatto un passo indietro nel momento in cui sono cambiate le tariffe e le modalità della prestazione.

Ma se i radiologi valdostani ritengono degradanti le condizioni offerte dall’Usl non si sono invece tirati indietro i colleghi piemontesi e così gli screening mammografici, da poco ripartiti, vengono effettuati grazie ad una convenzione con l’Asl To4 (Ivrea, Chivasso e Ciriè).

“Da Pont-Saint-Martin in giù – spiega ancora la Riccardi – la realtà sanitaria è un’altra, in Piemonte è da tempo che le assunzioni sono bloccate”.

Inoltre per fare fronte all’emergenza delle liste d’attesa l’Usl, come ricorda ancora il direttore generale, “per l’ecografica dell’addome, che era una delle criticità (Ndr nell’aprile scorso i tempi di attesa per l’esame arrivavano anche a 160 giorni), ha incrementato con uno specialista la rete degli ambulatori esterni mentre per il grosso degli esami come le radiografie muscolari e le risonanze magnetiche abbiamo preso accordi con il privato (l’Irv, la "Tecno medica" e la "Clinica eporediese") con un aggravio di costi del 20%”.

Imbufaliti i sindacati che da anni denunciano questa situazione e che, ad esempio per gli screening, chiedono all’Usl di istituzionalizzarli, come già avvenuto recentemente con i pap test.

“Ora i pap test, che fanno parte dello stesso progetto nazionale, vengono eseguiti dalle ostetriche durante l’orario di lavoro. – spiega ancora Giancarlo Rosso della Cgil – Perché non fare allora lo stesso per gli screening mammografici, piuttosto assumendo personale che a questo punto non può più tirarsi indietro e battere i pugni sul tavolo perché i 60 euro all’ora non gli vanno bene.” Sulla stessa lunghezza d’onda anche Paolo Decembrino della Cisl: “Noi abbiamo sempre detto che la libera professione non poteva essere il mezzo per far fronte alle criticità”.

L’ultima parola sulle prestazioni aggiuntive spetterà ora alla Corte dei Conti, la cui decisione sul procedere o meno contro i vertici dell’Usl, l’ex Giunta Caveri e l’ex Assessore alla Sanità, Lanièce, è attesa per il prossimo mese di giugno.

 

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