Crisi ucraina: i timori di Yuriy, da anni residente in Valle d’Aosta

16 Febbraio 2022

La nostra scelta è l’Europa“. La questione ucraina, ormai tra le prime notizie di tutti i telegiornali e su tutte le prime pagine, è diventata un caso anche tra le voci valdostane di chi è qui, ma ha lasciato un pezzo di cuore (o di famiglia), nel paese dell’est.

A parlare è Yuriy Dmytriyiv, 47 anni, genitori ucraini, ma nato e cresciuto in Russia. La sua voce è una delle tante che in questi giorni concitati si possono sommare alle testimonianze che arrivano dal paese sotto scacco. Yuriy è in Italia dal 1999 ed è arrivato nel 2006 in Valle d’Aosta, dove si è sposato con una valdostana e ha 3 figli, come sottolinea lui “tutti con nomi ucraini”.
Questa precisazione per Yuryi ha il sapore della rivendicazione in qualche modo, la stessa che avanza e che gli fa tremare un po’ la voce quando parla del furto che la Russia ha operato e opera nei confronti della sua terra, “privata per tanto tempo della sua lingua, della sua cultura e della sua storia”.

Questa storia, per Yuriy, parte da molto lontano e non va confusa con quella della Russia: “Le tracce dell’Ucraina e del territorio ucraino sono molto più antiche dell’insediamento di Mosca – precisa Yuriy -, il problema è che da sempre la Russia adotta una posizione di padre padrone nei nostri confronti, come se noi fossimo nati da lei e non il contrario. In realtà, senza l’Ucraina, la Russia e la sua storia sarebbero molto più povere e non varrebbero un uovo mangiato, come si dice dalle mie parti”. Quando Yuryi usa quest’espressione idiomatica è l’unico momento in cui la sua testimonianza si rilassa, perché il tema trattato è qualcosa che lo scuote nel profondo e che non gli permette di lasciarsi andare a una mera constatazione dell’odierna situazione.

“I problemi dell’Ucraina – continua -, arrivano da molto lontano, dalla storia di come la madre patria sovietica ha sempre trattato i suoi stati satelliti, ma in realtà diventa molto complicata dopo la seconda guerra mondiale”. In questo preciso momento storico, il territorio ucraino viene smembrato, ma eredita uno degli arsenali più potenti al mondo, fatto in gran parte di missili nucleari. Con il passare del tempo, nella prima metà degli anni ’90, viene chiesto all’Ucraina di rinunciare a questi armamenti in favore di una protezione totale da parte delle quattro grandi potenze mondiali (Francia, Gran Bretagna, Russia e USA), che promettono all’Ucraina di tutelare la sua sovranità e prevedere una protezione in caso di invasione: è la firma del Memorandum di Budapest del 1994 sulle garanzie di sicurezza. L’ accordo, firmato il 5 dicembre prevedeva che l’Ucraina accettasse di smaltire l’enorme scorta di armi nucleari che aveva ereditato in seguito alla dissoluzione dell’URSS, aderendo al trattato di non proliferazione delle armi nucleari.

Solo 20 anni dopo la firma del trattato sarà proprio la Russia a non rispettare questo accordo e a invadere la Crimea nel 2014: “La nostra è sempre stata un’indipendenza falsa, tutti i nostri presidenti passavano dalla Russia prima di essere eletti e prima di prendere qualsiasi decisione – denuncia Yuryi – e così è stato anche nel 2013, quando, dopo il referendum che avrebbe aperto la strada per un ingresso nell’Europa, l’Ucraina, attraverso il suo presidente Yanukovych ha arrestato il suo cammino sulla via dell’Ue prima ancora di averlo veramente intrapreso”. Il “giovedì nero”, così come venne subito ribattezzato da molti, aprì la strada alla vera e propria crisi tra Ucraina e Russia: “Da allora viviamo nella speranza dell’Europa come di una promessa. Per noi, a differenza di quello che riportano i giornali, non c’è una guerra separatista o una parte della popolazione filorussa, ma solo un’invasione e una parte di territorio russofono, ma non per questo filo russo, come la città di Kharkiv che sta sul confine e che, pur parlando russo, non è detto che sia disposta ad accettare l’invasione di Putin e della Russia”.

Yuriy Dmytriyiv con il fratello Nikola

Yuryi non usa mezzi termini quando deve parlare della crisi che sta colpendo il suo paese, suo fratello, più giovane, è ancora in Ucraina: ” Lo sento regolarmente, mi ha detto di non allarmarmi e di non allarmare le persone con cui parlo. Dice che loro continuano a vivere la loro vita, ma che non è inusuale incrociare una ragazza con le unghie fatte, le cuffie che mandano fuori la musica rap e un kalashnikov di cartone sotto braccio, pronta per scendere nella metro e fare esercitazioni nel caso in cui la guerra dovesse scoppiare. Lui mi dice che la vita continua, ma che sono pronti per ogni evenienza e che se dovesse scoppiare il conflitto loro combatteranno, per quello in cui credono e cioè l’indipendenza dello stato”.

A complicare ulteriormente le relazioni e le prese di posizioni dell’Europa nei confronti della situazione è la quasi totale dipendenza che il vecchio continente ha sviluppato nei confronti del gas della Russia, gas che però arriva anche dall’Ucraina: “La guerra c’è già – ammette Yuryi, ma non è una guerra separatista o civile, direi più che altro che è un conflitto ibrido, finanziato e voluto dalla Russia per non lasciare che l’Ucraina si allontani da lei. Nel 2014, quando siamo stati attaccati e parti del nostro territorio sono state occupate, non abbiamo avuto scelta se non cercare aiuto verso la Nato e questo perché la Russia non ci lascerà mai liberi. Non ci lascerà mai liberi per via della storia, di questioni geopolitiche, della nostra posizione strategica sul Mar Nero e soprattutto per le nostre risorse naturali, preziose”.

Immaginare un conflitto alle porte dell’Europa (o dentro la “nuova” Europa per chi intende i confini sempre più labili), è per molti impensabile e anche incredibile, ma non stupisce Yuryi che ribadisce come “i sentimenti di grande fraternità che l’Unione Sovietica propagandava in realtà hanno sempre celato un controllo di queste popolazioni e una violenta repressione che riguardava la cultura, la lingua, le idee e le tradizioni”. Per Yuryi pensare a un’ Ucraina in guerra non è impossibile, nonostante il dolore sia tanto, troppo, per una nazione che ha cercato di resistere all’appiattimento totale della sua cultura: “Non spero in un conflitto, ma so che se dovesse accadere gli ucraini saranno pronti a difendere il loro stato e a scendere in piazza come hanno sempre fatto quando si sono sentiti minacciati. Abbiamo una lingua e parliamo quella, abbiamo delle tradizioni e tramandiamo quelle, abbiamo un territorio e difendiamo quello. Certo, molti europei diranno che la Nato fa i suoi interessi, tanto quanto la Russia, ma io dico che tra i due senza dubbio continuo a preferire la Nato. Poi, forse, da parte degli europei e del resto del mondo l’Ucraina è un tassello che può essere sacrificato, basta che gli oligarchi russi e i ricchi russi continuino a venire in Europa e nel mondo per investire i loro soldi, ma non si può abbandonare un paese così”.

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