Da Aosta ad Amatrice, un viaggio fotografico sulle tracce del sisma
“Non è sempre facile stare in disparte e non essere in grado di fare nulla, se non registrare le sofferenze che stanno intorno”, diceva l'ungherese Robert Capa, mostro sacro del reportage (nel suo caso di guerra) fotografico. E spesso per chi scrive, e a maggior ragione per chi imbraccia una macchina fotografica, muoversi per andare a vedere di persona la realtà che ci circonda è tentazione forte, alla quale è impossibile resistere.
Ed è proprio nello spirito del reportage che, da Aosta, Massimo Monticone e Monica Montefusco si sono spostati per immergersi per 48 ore (1° e 2 settembre) nel centro Italia del terremoto del 24 agosto 2016: “Siamo partiti senza pensarci troppo – spiega Montefusco – interessati a vedere il lato più 'urbanistico' della vicenda, ovvero su cosa il sisma sia riuscito a fare in pochi minuti”.
Passando per Arquata del Tronto, Spelonga (frazione di Arquata) e Amatrice, però, è impossibile non incrociare le persone del posto, ed il dramma negli occhi della gente: “Siamo stati scioccati da quanto visto – prosegue Montefusco –, dalle persone nei centri di emergenza, che non abbiamo fotografato. Certe scene però mi rimarranno impresse nella mente, come la parrucchiera di Arquata con il negozio raso al suolo, che faceva i capelli per strada, sotto un gazebo, ad un'altra signora”.
Porzioni di vita, e di dignità umana, la ricostruzione parte anche da lì. Drammi che riportano sempre alla memoria tante, troppe altre storie simili: “Mi ha ricordato molto l'alluvione del 2000 – racconta invece Monticone – anche perché sono di Pollein e ho fatto il mio mese da sfollato in caserma, all'epoca”. Ricostruzione che parte anche dal 'sé': “Questa esperienza ti lascia comunque un pezzo di disperazione – spiega ancora Montefusco – perché pensi a te che stai tornando una casa, e una casa l'hai ancora. O pensi ai bambini che devono tornare ad una scuola che non c'è più, o che hanno perso un compagno”.
Restano le immagini, cittadine fantasma e case distrutte, dettagli di librerie e specchiere rimaste intatte fra le macerie, segni di vita normale incastonati tra i cumuli disordinati di ciò che una volta era un paese. Immagini – ed un video, ancora da montare, che avrà durata di un paio di minuti – che confluiranno, nei progetti dei due fotografi, in una mostra che vedrà la luce tra un anno esatto: “L'idea – conclude Monticone – è quella di fare un'esposizione più avanti, tornando in quelle zone ad un anno esatto e immortalando il prima ed il dopo ricercando gli stessi scatti, le stesse inquadrature, dove possibile, per rappresentare anche la ricostruzione”. Ricostruzione dei paesi, ma anche delle persone.