Da Courmayeur al Centrafrica, Martina Azzalea racconta la sua vita da cooperante

02 Luglio 2018

Un’esigenza prima ancora che una vocazione. Martina Azzalea, classe 1988 di Courmayeur, potrebbe riassumere con questa frase la sua vita da cooperante.

Nove anni fa la prima esperienza formativa importante, un Erasmus in Turchia, a cavallo fra Europa e Medio Oriente: “Il primo amore non si scorda mai, il mio è stato l’Erasmus a Istanbul per sei mesi, a cavallo tra 2009 e 2010, quando ancora in Turchia si poteva parlare di Curdi. Qualche mese dopo, tra la fine del terzo anno e la laurea in Triennale, sono partita per la Tunisia dove ho trascorso il mese di agosto all’Istituto Bouguiba per l’arabo, visitando tutto il Paese. La rivoluzione sarebbe scoppiata da lì a qualche mese e infatti a luglio sono tornata sempre al Bourguiba e ho trovato un paese estremamente cambiato, impaurito da Ennahada, inaccessibile in alcune zone dove fino a un’estate prima mi ero avventurata. Il secondo anno di specialistica ho vinto una borsa di studio per studiare l’arabo alla Kuwait University, dove ho trascorso sette mesi, durante questo periodo ho svolto la ricerca tesi il cui argomento è stato 'La popolazione apolide in Kuwait', lavoro che mi ha permesso di entrare in stretto contatto con alcune Organizzazioni di Diritti Umani, nazionali ed Internazionali. A qualche mese dalla laurea, nel giugno del 2013, sono partita per il Bahrain dove mi sono fermata 3 mesi per svolgere alcune attività di volontariato”.

Sono anni in cui Martina si ferma pochissimo in Valle d’Aosta e in cui la capacità di allargare i propri orizzonti le permette di intraprendere la strada che vorrebbe diventasse il suo futuro: la cooperazione nei luoghi dove conflitti, colonizzazione e sfruttamento sono le piaghe lasciate dal mondo occidentale senza mai chiedere scusa, o dove i conflitti interni, foraggiati dalle potenze occidentali, sono diventati problemi a livello mondiale, come in Palestina: “Nel febbraio del 2015 la mia svolta: il viaggio in Palestina, dove rimango per tre mesi a Hebron insegnando inglese e svolgendo attività di volontariato parallele insieme alla comunità vittima dell’occupazione israeliana. In questo periodo ho potuto rendermi conto e vedere con i miei stessi occhi il dramma della popolazione palestinese e la loro incredibile capacità di resilienza. Qualche mese dopo inizio la mia prima e vera esperienza formativa in ambito internazionale a Ginevra, seguita da uno stage per una fondazione che si occupa di violazioni di diritti umani nei Paesi Arabi”. 

Nonostante il Medio Oriente rimanga un pensiero fisso per Martina, col passare del tempo un altro continente si fa strada nel cuore e nel pensiero della giovane valdostana: l’Africa, terra da sempre martoriata e calpestata dagli interessi del mondo cosiddetto civilizzato: “Svolgo il servizio civile in Madagascar tra il settembre del 2015 e il 2016, occupandomi di un progetto incentrato sulla gestione degli atti di nascita e su altre campagne di sensibilizzazione a livello comunitario. Grazie a questa esperienza, entro in Africa dove ritorno nel giugno del 2017, in Burundi, per scrivere un progetto di elettrificazione rurale finanziato dall’UE”.

L’ultimo viaggio per Martina il Centrafrica, dove si trova da diversi mesi, una delle zone più calde e sconosciute del continente, zona da cui filtrano pochissime notizie sulla situazione odierna: “Mi trovo a Bangui da quasi tre mesi, dove collaboro con COOPICooperazione Internazionale, la più importante ONG italiana che opera in 28 paesi. Mi occupo del monitoraggio dei progetti COOPI attivi nel paese, riguardo alla nutrizione, alla sicurezza alimentare e alla protezione; oltre che alla scrittura di nuove proposte e delle missioni sui siti dei nostri progetti per il monitoraggio e la raccolta dati”.

In un momento difficile per le ONG, prese di mira in un clima di odio e di ignoranza, Martina spiega quali sono le difficoltà maggiori del loro operato a Bangui: “Non si può mai abbassare la guardia, i nostri movimenti sono molto limitati in termini di spazio e tempo e i dati che abbiamo ci restituiscono un paese dove circa metà della popolazione dipende dell’assistenza umanitaria, con un indice di sviluppo umano tra i più bassi al mondo. La cosa incredibile è che la popolazione non si arrende”.

Nonostante Martina sia sempre in posti lontani da casa, spesso non fra i più sicuri al mondo, c’è sempre tempo per pensare a chi ha lasciato a Courmayeur e alle sue radici, anche con un pizzico di nostalgia ogni tanto: “Fin dal Liceo, ho voluto uscire dalla dimensione di Courmayeur che, seppure negli anni ho imparato ad amare e ad apprezzare, mi è sempre stata un po’ stretta. Tornare, alla fine di ogni contratto, è difficile perché, oltre all’eterna ricerca di un nuovo lavoro, si accompagna l’incertezza, la totale assenza di prospettive da qui a un mese. Non è un lavoro semplice, bisogna essere disposti a fare una valigia, andare in posti non sempre 'esotici', partendo senza una data di rientro. Al tempo stesso tornare a casa è sempre una festa, gli amici di una vita mi aspettano a braccia aperte anche se sanno che, di nascosto, sto già pensando alla prossima destinazione: dopo il periodo che passerò a casa prossimamente, sembra che si tratterà di un ritorno a quella che, dal 2015, è la mia seconda casa, l'Africa".

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