Dalla Guinea alla Valle d’Aosta, “La route à bout de bras” di Mamadou Sow
All’inizio del libro di Mamadou Sow c’è una cartina, con una linea tratteggiata che parte dalla Guinea Conakry e passa per il Mali, il Niger, la Libia. Attraversa il Mediterraneo e arriva in Italia, con una piccola deviazione in Francia, fino ad approdare in Valle d’Aosta. È questo il tragitto che Mamadou ha voluto ripercorrere in quello che è davvero un Abécédaire de l’Afrique à l’Europe en zigzag, come recita il sottotitolo del suo libro La route à bout de bras (Migrilude, 2020). 64 lemmi per raccontare, ciascuno, un piccolo tassello della storia di un migrante che, alle difficoltà di un viaggio interminabile come quello che conduce da un lato all’altro del Mediterraneo, ha dovuto aggiungere lo svantaggio fisico legato alla sua disabilità.
Se venerdì 25 agosto, infatti, Mamadou è arrivato con la sua sedia a rotelle nella bottega Lo Pan Nër di via De Tillier, in occasione della presentazione del suo libro organizzata dal Comitato territoriale di Aosta dell’Associazione Refugees Welcome, in passato però non è sempre riuscito a muoversi con altrettanta facilità. A causa della poliomielite che l’ha colpito da bambino, impedendogli l’utilizzo delle gambe, per molto tempo ha infatti camminato appoggiandosi sulle proprie braccia. Ottenuta la prima sedia a rotelle quando dal proprio villaggio si è spostato nella capitale della Guinea, dove ha a lungo mendicato per sopravvivere, Mamadou l’ha poi dovuta abbandonare per affrontare il tragitto verso l’Europa. Da qui il titolo del libro, ad indicare un viaggio davvero “à bout de bras”.
“Per avere rispetto la sedia a rotelle è fondamentale”, suggerisce Tiziana Gagliardi, di Refugees Welcome Italia-Aosta, partendo da alcune parole del libro per avviare un dialogo con l’autore. “In Guinea noi persone con disabilità non abbiamo alcuna sicurezza sociale”, replica Mamadou. “Tanti dormono per strada o fanno l’elemosina per guadagnare qualcosa da mangiare. Quando sono arrivato a Conakry e ho avuto la mia prima carrozzina mi sono sentito bene, perché prima, quando camminavo con le mani, le persone non mi rispettavano e non mi facevano entrare nei ristoranti e nei negozi”.
La dignità e il rispetto, Mamadou nella sua vita ha cercato di guadagnarseli in qualsiasi momento, convinto, ad esempio, che per chi ha un handicap lavare i propri vestiti sia ancora più importante, perché se sei sporco hai ancora meno chance di avere qualche considerazione. Ma la dignità e il rispetto è anche, insieme all’instabilità politica che affligge il suo paese di provenienza, la ragione che l’ha spinto a intraprendere il lungo viaggio verso l’Europa, incoraggiato dai racconti sul trattamento migliore di cui vi possono godere le persone disabili.
Una volta arrivato dall’altra parte del Mediterraneo, però, il difficile destino dei migranti si rivela nella burocrazia e nei lunghissimi tempi di attesa da un centro di accoglienza all’altro, dalla Sicilia alla Francia, dove Mamadou fatica a trovare un impiego e un modo per ottenere nuova autonomia e dignità. “Quando siamo in Africa pensiamo di vivere nell’inferno e che dobbiamo andare in Europa per avere il paradiso nella vita. Non crediamo alle persone che dicono che è dura in Europa. Poi però quando sono arrivato in Italia, nel 2016, pensavo che la sofferenza fosse finita e invece mi sono reso conto che l’Europa non è il paradiso, ma un’altra cosa”.
L’umanità riesce però a sorprendere proprio nei momenti più bui. E non c’è di più agghiacciante della traversata nel deserto, dove chi si è addormenta è morto, perché nei pick-up ricolmi di persone, se dormi ti buttano per terra, non essendoci aria per respirare né tempo per l’altruismo. È però proprio a metà della traversata nel deserto, dopo aver oltrepassato il Niger, che Mamadou incontra una signora speciale, che è all’origine della voce ‘datteri’ nel suo abbecedario. “Mi ha guardato mentre stavo camminando con le mani sulla sabbia calda e mi ha dato una manciata di datteri. Io all’inizio non volevo accettare, perché non mi fidavo. Poi però quei datteri, che ho tenuto in tasca senza far vedere a nessuno, mi hanno aiutato nei cinque giorni successivi passati nel deserto”. Quei datteri sono stati “un buon regalo”, spiega Mamadou, che si è aggiunto all’altra grande benedizione che gli ha permesso di sopravvivere durante il viaggio. “Se nonostante la mia disabilità, sono riuscito a essere qui con voi, è grazie alla benedizione di mia nonna, che mi ha cresciuto ed è stata come una madre per me”.
Di incontri provvidenziali Mamadou ne ha fatti altri durante il suo itinerario zigzagante dall’Africa all’Europa. È stata una volontaria del Refuge Solidaire de Briançon, Elisabeth Zurbriggen, a trascrivere i tanti audio Whatsapp di Mamadou in un libro in grado di rispondere all’invito, da parte delle molte persone che hanno conosciuto la sua storia, a lasciare una testimonianza della sua condizione di migrante portatore di handicap. Ed è grazie a Elisabeth che Mamadou si è messo in contatto con il Comitato territoriale di Aosta dell’Associazione Refugees Welcome, dove finalmente è tornato ad essere attivo e dove l’ha raggiunto sua moglie dal Senegal.
Ascoltare la storia di Mamadou ha assunto un valore morale ancora maggiore per il quadro particolare in cui è stata inserita la presentazione. Questa è infatti stata proposta da Refugees Welcome Italia-Aosta in occasione del progetto “KR46MØ. In viaggio verso Cutro”, portato ad Aosta dalla Cooperativa Lo Pan Nër. Nella Bottega di via de Tillier sono state esposte alcune tavole di legno dell’imbarcazione naufragata a Cutro nel febbraio 2023 che, insieme al libro Galdima, il re della Savana di Ibrahim Galdima e Alessandra Munerol, stanno girando per molte Botteghe solidali italiane, in un percorso itinerante di conoscenza e consapevolezza. “Il progetto si chiama KR46MØ”, ha spiegato Giulio Gasperini, “dal codice assegnato alla più piccola delle bare bianche che abbiamo visto per giorni nei servizi tg e nelle fotografie. Sulla barca di Cutro si trovavano moltissime persone, uomini, donne e bambini che portavano con sé delle storie e dei talenti di cui non conosceremo mai nulla, o quasi. Questi incontri servono proprio ad ascoltare storie e a farsi testimoni, depositari di una storia per farla arrivare il più lontano possibile. Alla fine tutto quello che rimane delle persone sono le loro storie, dovremmo essere in grado di saperle ascoltare”.