Don Ciotti ad Aosta per il via alla settimana della legalità
“Voglio restituirvi la fotografia reale del nostro territorio. Vi risparmio 1500 pagine, ma ciò che vi dirò è il succo della questione, ciò che la Mafia ha saputo diventare col tempo, trasformandosi e mutando”. Don Ciotti è un fiume in piena, la sua scorta non lo perde di vista nemmeno nel salone di Palazzo Regionale e, nonostante il pubblico valdostano non sia abituato, sono presenze che si fanno man mano invisibili, perché tutti gli occhi sono rivolti a lui e non si sente più un rumore se non la voce alta e solenne di Don Luigi, un uomo che della lotta alla Mafia ha fatto la sua battaglia.
Agita i pugni in aria e urla di vitalità, quella che la Mafia vorrebbe spegnere, quella voglia di combattere nel segno non della legalità, ma della giustizia: “Qui, questa sera, vi consegno un problema, così, come ne sono capace. Abbiamo fatto della legalità un idolo e invece la legalità non dev’essere questo, è una parola che ci hanno rubato. Tutti hanno sventolato la bandiera della legalità, tutti si sono nascosti dietro questa parola e in molti l’hanno calpestata e la calpestano ogni giorno. Abbiamo a che fare con dei ladri di parole, ma dobbiamo sempre tenere a mente che la legalità non è il fine, è solo uno strumento per arrivare alla giustizia, questo è l’unico scopo”.
Il “laureato in scienze confuse”, come dice di se stesso, ha invece delle idee molto chiare riguardo la situazione italiana: “La Mafia non è più armi e sangue, rimangono solo due grandi realtà violente, Napoli città e la provincia di Foggia, due territori di fuoco, mentre altrove si smette con il sangue e si punta sulla corruzione: tutto è cambiato, la mafia ha saputo evolversi e mutare, impadronirsi di quelle zone grigie tra legalità e illegalità, dove ha corrotto gli uomini e ha creato relazioni di complicità”.
Non sempre le persone hanno chiaro il concetto di mutazione del sistema mafioso e di come si sia espanso; come la mafia viene percepita e quali sono i fattori che creano un campanello d’allarme nella popolazione valdostana sono i temi toccati da LiberaIdee e dal suo rapporto sulla Valle d’Aosta: “Si evidenzia una percezione netta del fatto che la mafia non sia solo più al sud Italia – sottolinea Joselle Dagnes, co-conduttrice dell’analisi quantitativa -, ma permane l’idea che non sia un problema così presente sul territorio valdostano”.
Laddove analisi e inchieste giudiziarie portano alla luce fatti di cronaca che sempre più vengono fatti ricondurre a comportamenti di stampo mafioso, il valdostano ancora fatica a prendere coscienza della presenza regionale di un fenomeno assimilabile a quello più famoso nel Mezzogiorno. Il rapporto indica inoltre che i cittadini valdostani intendono per “mafioso” soprattutto i comportamenti illegali legati ad appalti truccati, scambio di voti e corruzione di dipendenti pubblici, “pensieri questi – continua la Dottoressa Dagnes – riconducibili a fatti di cronaca recenti e ancora molto presenti nella vita giudiziaria valdostana”.
Il rapporto di LiberaIdee, un percorso iniziato nel 2016 per mettere l’accento sull’importanza della ricerca sociale e per comprendere la metamorfosi italiana rispetto al tema mafioso, è stato stilato da Libera Contro Le Mafie per avvalersi di un ulteriore strumento di conoscenza del territorio italiano e per creare importanti spunti di riflessione sul tema.
La conoscenza del “Problema Mafia” dev’essere inteso come forza produttiva, come un’adeguata coscienza civile ed è in questo quadro che il rapporto si inserisce come strumento di crescita nella consapevolezza.
Consapevolezza che passa anche attraverso le istituzioni, le stesse a cui Don Ciotti dedica il suo grazie più sentito, ricordando Falcone e Borsellino, ma soprattutto i nuovi protagonisti della lotta antimafia, come Federico Cafiero De Raho, magistrato italiano autore di numerosi arresti in Calabria e noto per aver scoperto la nuova cupola della ‘ndrangheta: “La lettura del problema mafioso rischia di essersi fermata a Falcone e Borsellino, ma sono passati 26 anni e bisogna andare avanti, bisogna continuare a parlare del problema e stare attenti a come si evolve: la pericolosità non si misura solo in spari e sangue, la Mafia crea dei morti vivi, cioè persone che vivono in situazioni drammatiche”.