Don Prospero Duc nel ricordo di chi c’era: “Portò con sé una ventata di novità”
Don Prospero Duc – nato il 1° gennaio 1915 a Châtillon e ucciso il 19 aprile 1945 -, fu parroco della piccola parrocchia di Chesallet a Sarre dove morì ucciso dai fascisti a colpi di mitra come gesto di rappresaglia. Don Duc, cui oggi è stata conferita la Medaglia d’oro al merito civile, era un uomo generoso che cercava di aiutare tutti i suoi parrocchiani offrendo loro quello che poteva e questo lo portò ad inimicarsi i fascisti che lo uccisero nella sua stessa casa, davanti agli occhi della sorella Rosy. Un uomo giovane e devoto che, nonostante il breve periodo passato a Chesallet, fu molto apprezzato da chi lo conobbe. Tra le persone che ancora serbano il ricordo di Don Duc, c’è Giuseppina Bal, nata il 23 settembre 1932 a Sarre, che ebbe il piacere di conoscerlo durante la sua infanzia come parroco gentile e attivo, un uomo generoso e buono.
“Don Prospero Duc è stato con noi per pochi anni, purtroppo, ma ha fatto molto per Chesallet – ha spiegato la donna -. Ero una bambina quando è arrivato e sono stata scelta per recitare una poesia di benvenuto ed ero molto emozionata. Don Duc era molto giovane e anche molto bello e portò con sé una ventata di novità. Per noi bambini è stata l’occasione per vedere i primi film, ricordo i primi due, Ridolini innamorato e La Madonna di Caravaggio. Aveva un proiettore che veniva piazzato per l’occasione in un’aula della scuola. Ci insegnava anche a cantare e non solo le canzoni di chiesa. Aveva una bella voce e sapeva anche suonare l’organo. Ci spiegava il significato delle frasi che venivano pronunciate durante la messa, che allora veniva detta in latino, per farci capire quello che volevano dire quelle parole che molti ripetevano perché le avevano memorizzato ma senza capirle. SURSUM CORDA non voleva dire tirare su la corda, come poteva sembrare a noi bambini, ma in alto i cuori!”.
“Era una persona colta che sapeva molte cose – aggiunge ancora la signora Bal -. Con noi bambini parlava italiano, ma agli anziani, valdostani, si rivolgeva in francese. Per noi che facevamo le scuole elementari, ma anche per ragazzi più grandi, come mia sorella che aveva 10 anni più di me, organizzava recite teatrali di cui eravamo protagonisti. Si facevano le prove e si imparava a memoria la propria parte e poi la recita avveniva davanti a un vero pubblico per raccogliere donazioni per la chiesa. Era bello, impegnativo e emozionante ed era anche un’occasione per stare insieme fuori dalla scuola. Ricordo che una volta portò anche un gruppo di ragazzi grandi a sciare, chi aveva gli sci certo, ma allora erano pochi. Con noi parlava molto ed era sempre disponibile”.
Non solo: “In poco tempo conobbe tutte le famiglie della parrocchia, la sua priorità era portare aiuto e beni necessari come cibo, legna e vestiti alle famiglie più povere. Era generoso e non esitava a rinunciare al cibo per donarlo a chi riteneva ne avesse più bisogno. Allora c’erano donne con bambini piccoli rimaste sole e senza sostegno perché i mariti erano stati chiamati alle armi e poi famiglie di sfollati alloggiate alle casermette di Saint-Martin-de-Corléans. Era sempre in ordine e pulito, si muoveva a piedi e a volte si faceva prestare una bicicletta per andare ad esempio a trovare queste famiglie alloggiate alle casermette portando loro notizie e conforto. Nei pochi anni in cui gestí la parrocchia di Chesallet si attivò per rendere la nostra chiesa più bella. Rifece i pavimenti della chiesa e della casa parrocchiale utilizzando il marmo che veniva estratto dalla vicina cava de La Palue“.
“Era pieno di vita – conclude Giuseppina -, avevamo bisogno di uno così giovane e volenteroso. Me lo vedo ancora come fosse ieri e ho le lacrime agli occhi quando ne parlo. Ricordo ancora il dolore e la pena provati quando abbiamo visto il suo corpo straziato esposto nella casa parrocchiale in mezzo ai fiori, tantissimi fiori… Un gesto vile e crudele nei confronti di un uomo buono e disarmato. Quante cose buone avrebbe potuto ancora fare per tutti noi”.