Heidi, “la tedesca” di Fontainemore che ha fatto della memoria una missione

03 Febbraio 2025

Amedé era un uomo solitario. Nella sua baita, sopra Coumarial, a Fontainemore, scolpiva e intagliava il legno inconsapevole del suo talento. Fu Heidi, conosciuta da tutti in paese come “la tedesca” perché originaria di Düsseldorf, in Germania, a convincerlo a partecipare alla Fiera di Sant’Orso di Aosta. Era il gennaio del 1986, l’anno della grande nevicata. I fratelli falegnami Claudio e Gianpiero Girod stavano spalando la neve quando videro passare il Maggiolone della tedesca con a bordo Amedé e i suoi pezzi. Qualcuno se li ricorda nel banco vicino alla Cattedrale. Lei offriva caffè e brodo caldo, mentre lui era contento come un bambino.

Questo era il grande cuore di Heidi Munscheid, la donna che a Torino, dove viveva e lavorava all’università come lettrice di tedesco, ripuliva le pietre d’inciampo del suo quartiere, il Quadrilatero Romano. Classe 1936, Heidi è morta un anno fa, nel silenzio della sua casa in via Barbaroux, nel capoluogo piemontese. La sua storia e il suo impegno per non dimenticare chi è stato deportato nei campi di concentramento nazisti sono stati raccontati sulle pagine dedicate al Giorno della Memoria del quotidiano La Stampa, lo scorso martedì 28 gennaio. In molti, nella vallata del Lys – che l’ha accolta per più di quarant’anni, soprattutto d’estate – hanno appreso così della sua morte e di quel suo gesto silenzioso, quasi quotidiano, a cui teneva anche quando, per via dei problemi all’anca, camminare era diventato più difficile.

Una foto, postata da Luciana Littizzetto su Instagram e riportata dal quotidiano, la ritrae mentre seduta sul suo deambulatore azzurro lucidava con uno straccio e un prodotto per i metalli la targhetta dedicata a Emanuele Balbo Bertone di Breme, nato a Chieri nel 1886 e ucciso il 28 gennaio 1945 a Schelkow, in Polonia. Era convinta che nessuno l’avrebbe mai notata.

“Non ci aveva mai raccontato di questo suo impegno, solo una volta ha parlato della guerra dicendoci che suo papà era tornato distrutto e non aveva mai voluto raccontare niente”, dicono i fratelli Claudio e Gianpiero Girod. Heidi, quando era a Fontainemore, passava spesso nella loro falegnameria di Pacoulla. In paese, era arrivata tra il 1978 e il 1979. “Allora la strada si fermava al Pillaz e non proseguiva verso le frazioni alte – ricordano i falegnami -. Lei era venuta con un’amica e aveva affittato una baita ai margini del bosco. Ce la ricordiamo tutti con i suoi pantaloni alla zuava, il gilet e gli stivali ai piedi. Allora eravamo anche un po’ stupiti e incuriositi da questa donna che viveva da sola e si spostava da Torino con il suo Maggiolone prima arancione e poi verde. Da noi veniva spesso, eravamo amici, ma era un presenza molto discreta. Si interessava molto dei problemi della gente, cercava delle soluzioni e aveva molto a cuore gli animali. Preparava dei pentoloni di cibo per i cani lasciati soli. Viveva in modo semplice e spartano, leggeva molto ed era interessata alla cultura del posto. Anche la sua baita era molto semplice, quasi a non voler far notare la sua presenza”.

Spesso la si trovava seduta al tavolino del bar Posta di Issime mentre beveva un cappuccino e scriveva delle lettere alle persone più care. Lo stesso faceva a Torino. “Ci scriveva spesso e aveva sempre qualche raccomandazione da farci – aggiungono i fratelli falegnami -. Ci faceva molto piacere ricevere le sue lettere. Heidi lascia un grande vuoto”. “Ciò che mi ha sempre colpito molto di lei è l’apprezzamento che aveva per Fontainemore, per i suoi luoghi misteriosi, la natura, le case abbandonate, le persone, le loro storie e gli oggetti fatti a mano – ricorda Angelika Kitt, la sua amica di Monaco di Baviera che ha vissuto per più di trenta estati nel paese della Valle del Lys. Era stata Heidi a farle conoscere la bellezza di quei posti.  “Nella vallata tutti la conoscevano e lei conosceva tutti. Aiutava, informava, mediava e metteva in rete. Era rispettata e richiesta”, aggiunge Angelika.

Anche la consigliera regionale Chiara Minelli, che è di Fontainemore, ne conserva un bel ricordo. “Nella seconda metà degli anni Ottanta, da studentessa universitaria, la incontravo nei corridoi di Palazzo Nuovo, a Torino, dove lavorava come lettrice di tedesco, ma anche lì era ‘Heidi la tedesca’, quasi sempre con gli scarponi e lo zaino, pure a lezione – racconta Minelli -. Più di una volta, arrivando in via sant’Ottavio, ho cercato con lo sguardo la sua inconfondibile auto nel parcheggio. Mi è capitato anche di vedere sui sedili posteriori le tomette di capra di Amedé, suo amico e vicino, che lei portava ai suoi amici torinesi”.  E aggiunge: “È stata una presenza discreta ma costante nella nostra comunità per più di quarant’anni ed è stato triste sapere in ritardo della sua scomparsa, nessuno di noi ha potuto salutarla. Vedere la sua foto su La Stampa il giorno della Memoria, mentre con fatica lucida una pietra di inciampo è stata una sorpresa, che in qualche modo ci ha permesso di raccontare la sua storia e anche di avere conferma della sua profonda umanità”. “Heidi sentiva il peso della storia e non voleva che questa venisse dimenticata – si legge in un post pubblicato sui social da Rete Civica -. Facciamo come Heidi”.

Exit mobile version