Il bilancio della 1025ª Fiera di Sant’Orso di espositrici ed espositori

31 Gennaio 2025

La pioggia di ieri mattina è ormai un ricordo lontano e in questa seconda giornata baciata dal sole espositori ed espositrici fanno il bilancio della due giorni di Fiera che ormai volge al termine. A prevalere è la soddisfazione per aver partecipato ancora una volta a un appuntamento dove più delle vendite contano la festa, la tradizione e il senso di comunità. 

Per alcuni, è ormai un appuntamento pluridecennale. Pier Giorgio Navillod, che quest’anno è accompagnato oltre che dal figlio anche dalla nipote, tiene a precisare il suo complicato conteggio delle fiere a cui ha partecipato. E se ad alcune non è risultato come iscritto ufficiale a causa di problemi burocratici, nel complesso può calcolare una cinquantina di anni di Fiera. Un arco di tempo dove non sono mancati cambiamenti anche nella mentalità e nell’organizzazione. “In passato mi avevano contestato le trottole colorate, adesso invece è un carnevale unico! Io avevo anticipato i tempi ma avevo le mie ragioni: al castello di Ussel infatti avevo visto in esposizione una trottola colorata tra gli altri giocattoli antichi”. 

Barattoli e trottole colorate di Pier Giorgio Navillod

Gli artigiani e le artigiane con più fiere alle spalle sanno ormai qual è il tipo di clientela a cui rivolgersi. “Oggi ci sono molti più turisti ma il cliente migliore resta sempre il valdostano”, spiega Navillod. “Spesso vengono sapendo già il pezzo a cui sono interessati e c’è anche qualcuno che non vuole il resto, perché sa che lavoro c’è dietro”. 

Alcuni artigiani cercano però di adattarsi a un pubblico sempre più variegato, andando incontro anche ai gusti più particolari. Oltre agli oggetti dalle forme più curiose, si punta anche sui gusti dei più giovani, come fa Roberto Sana, che accanto ai classici taglieri espone ‘le vere bacchette di Harry Potter’. “Si cerca di seguire anche le richieste della clientela e di variare”, spiega Sana, “rimanendo sul materiale tradizionale ma magari anche con qualche modifica. E poi se vedi che un prodotto piace lo rifai: c’è anche chi chiede dei lavori per l’anno dopo”. 

Le bacchette di Harry Potter fabbricate da Roberto Sana

Poco lontano, in via Monsignore de Sales, Ramon Betemps taglia fontina, pane e salame per fare una bucunà. La Fiera è anche questo: ritrovarsi tra amici di sempre e persone che durante l’anno si vedono poco. Lo confermano anche Tiziana Truc e Sergio Charles: “È da sette anni che esponiamo, ma non lo facciamo tanto per le vendite, quanto per vedere gente che non vediamo da anni”. 

La bucunà

Per quanto riguarda le fasce di età più giovanili, abbiamo già raccontato diverse storie di quella che sta diventando una vera e propria rete valdostana di nuovi artigiani e artigiane. Accanto a coloro che cercano di fare di un hobby un mestiere vero e proprio, c’è anche chi vive la Fiera come un omaggio alla tradizione di famiglia. È il caso di Federica Borrelli, che espone i suoi cestini da quattro anni, e ha portato in fiera un’arte che era sempre restata tra le mura di casa. “La Fiera è un momento di tradizione, per staccare dalla quotidianità e dalla normalità. È bello confrontarsi sia con i visitatori sia con gli altri espositori, perché abbiamo tutti metodi di lavorazione diversi che ci spieghiamo a vicenda”. Se il freddo, a parte qualche inverno più mite, è sempre lo stesso, chi espone ogni anno vive sulla propria pelle il cambiamento della Fiera. “Certo, la Fiera è sempre lei: arrivi la mattina e sai già cosa trovi, anche se la gente è sempre diversa. Ho notato però dei cambiamenti organizzativi in positivo e ho notato quanto sia diversa la Fiera se vissuta in via Guido Rey oppure nel centro città”. Anche vicino alla bancarella di Federica si fermano stranieri di ogni età e provenienza, con curiosità talvolta particolari. “Ci sono tante persone che fanno cestini o stanno seguendo dei corsi per imparare: è bello perché si fermano e vogliono confrontarsi sul tipo di lavorazione. Quest’anno poi è passata almeno una ventina di ragazzi che stavano facendo una ricerca: probabilmente si trattava di una classe di scuola”. 

Se la Veillà era nata per offrire un riparo notturno agli espositori venuti da lontano, adesso anche chi viene dalle valli laterali preferisce spesso tornare a casa per la notte. Per ricaricare almeno un po’ le energie prima della seconda giornata di fiera, come fa Federica Borrelli, che venendo da La Salle si è dovuta svegliare alle cinque per essere ad Aosta questa mattina. Oppure per svolgere in tempo alcune incombenze domestiche. È il caso di Lidia Serafina Bonin, che questa mattina si è svegliata all’alba per nutrire i maiali e dare il biberon ai capretti appena nati insieme al figlio più grande, che aiuta lei e suo marito nell’azienda agricola di famiglia. “È un tour de force, ma è una delle fiere che rende di più. Ieri fino a tardi abbiamo etichettato i prodotti, perché non sai mai quante persone comprano e spesso devi aggiungere in corso d’opera”. 

Il padiglione enogastronomico di piazza Plouves

Chi espone nel padiglione enogastronomico di piazza Plouves può stare tranquillo, perché il pubblico sa bene dove dirigersi per i prodotti alimentari locali, che godono ormai di interesse pari a quello dei manufatti artigianali. “Le persone vogliono comprare perché sanno che i prodotti sono di aziende agricole locali che seguono tutto il processo: nel nostro caso, dall’allevamento fino alla produzione. Tra i nostri prodotti il lardo è quello che attira di più: sicuramente contribuiscono anche gli assaggi, che ormai sono offerti in quasi tutti gli stand”.

Bonin e il marito assicurano sulla buona organizzazione del padiglione, che è ben segnalato e riconoscibile. Lo confermano anche dallo stand della Maison du goût di Cogne: “Quest’anno c’è sempre molta gente ma trovo che ci sia meno confusione: è stata studiata bene l’organizzazione dei parcheggi e soprattutto la gestione del senso unico di marcia”. 

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