Il grido di aiuto di Bea: per curare la sua anoressia e bulimia lancia una raccolta fondi

08 Gennaio 2023

Una ragazzina come tante altre. La scuola, gli amici, la passione per la ginnastica artistica e una vita che scorreva normale. Fino a quando la maschera che Beatrice si sforzava di indossare inizia a scivolare e quell’equilibrio che ognuno di noi cerca di patteggiare con i propri fantasmi e le proprie debolezze comincia a vacillare. È questo l’inizio di una storia che Beatrice, ventenne di Aosta, e la mamma Antonella combattono da sei anni con i DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), una sigla che per molti adolescenti — ma sempre di più anche bambini e adulti — è diventata un incubo, dietro cui si nascondono spesso ombre, traumi e malesseri già esistenti.

Per Beatrice il fattore scatenante è la morte del nonno Angelo, che dopo la separazione dei genitori era diventato come un padre e la cui scomparsa improvvisa rimane una ferita aperta nella nipotina. “Avevano un rapporto simbiotico, si capivano con uno sguardo”, confida mamma Antonella, “per questo ho capito che c’era qualcosa che non andava quando, dopo che mio padre è mancato, Bea ha continuato a farsi vedere forte, autonoma e disciplinata, in modo quasi eccessivo. Mi sembrava impossibile una reazione del genere, fino a quando ho iniziato a trovare cibo dappertutto, negli armadi e nei vestiti”. È la ragazza a ipotizzare di avere un DCA e a cercare aiuto, ma nel primo anno di terapia non riesce a sbloccarsi e durante le sessioni con il nutrizionista, lo psicologo e lo psichiatra non le si riesce a strappare che dei ‘sì’ e dei ‘no’. 

La malattia nel frattempo peggiora e Beatrice deve abbandonare anche la ginnastica, quello sport in cui non si vedeva longilinea come le altre: “Quando ha iniziato a calare di peso si vedeva meglio con la tutina, ma era tutto dovuto al suo senso di inadeguatezza e alla sua mancanza di autostima. La palestra era diventata un ambiente tossico, ma tutta la sua vita era lì e ha impiegato un anno a lasciarla”. 

Beatrice

Iniziano i ricoveri nella Residenza Dahu di Brusson, quei ricoveri che secondo Antonella devono rappresentare un’opportunità e non un fallimento: “Ogni ricovero aggiunge un tassello alla guarigione, fatta di tanti tasselli sofferti che si prolungano nel tempo. Spesso osservo reazioni stupite al fatto che Beatrice venga di nuovo ricoverata, ma è importante capire che un ricovero non porta direttamente alla guarigione e che servono tante tessere per completare il puzzle”. Così, Beatrice quel puzzle lo inizia a Brusson e nel reparto di Psichiatria di Aosta, facendo verifiche e interrogazioni online nel suo ultimo anno di superiori in vista della maturità. Ma, una volta dimessa, le ricadute sono pesanti e iniziano ad esserci episodi di autolesionismo che accompagnano una grave depressione.

Anche il ricovero di sei mesi nel Centro Villa Miralago (VA) non ha successo in quello che è l’obiettivo più importante per una ragazza che non ha vissuto la sua adolescenza: il reinserimento nella vita di tutti i giorni. “I ricoveri che Beatrice ha affrontato finora l’hanno aiutata a tamponare il disturbo alimentare, ma l’hanno fatta vivere in una bolla in cui tutto è controllato e da cui è difficile uscire”.  

Il 2022 per Beatrice è stato un anno in cui la casa si è alternata al reparto di Psichiatria, dove, spiega la mamma, “è diventata dipendente dai farmaci e alla bolla della clinica si è sostituita quella dell’ospedale, in cui Beatrice voleva sempre tornare per trovare un posto che le desse riparo, visto che stare fuori era troppo difficile”. Antonella inizia a rivolgersi al privato ed è una terapeuta specializzata in DCA a suggerirle di cercare una soluzione più adatta alla situazione di sua figlia.

Al Centro di Cura, Riabilitazione e Reinserimento Sociale MondoSole (RN) mamma e figlia avevano già pensato due anni fa, ma Beatrice era più piccola e non se la sentiva di trasferirsi in un’altra regione per iniziare un nuovo percorso. Ora però è stata lei a telefonare e prendere appuntamento per una visita, mostrando quella motivazione indispensabile per intraprendere il tortuoso cammino della guarigione. Il Centro di Rimini, la cui fondatrice ChiaraSole Ciavatta è stata malata di DCA e ha poi messo la sua esperienza a disposizione di chi ne soffre, rappresenta una via di mezzo che fa al caso giusto per Beatrice. “Questo centro ha un’offerta abbastanza unica di un percorso intermedio tra il ricovero residenziale dove sei controllato, vivi tranquillo in una bolla ma quando sei dimesso ricadi, e il ciclo settimanale di cure con psicologo, psichiatra e nutrizionista, che però a Bea non basta. La novità è che, accanto al centro diurno, i pazienti vivono in appartamenti privati, come se fossero degli studenti universitari. Questo permette loro di riacquistare l’autonomia e l’indipendenza che non hanno mai avuto, mettendosi alla prova nelle pulizie, nella spesa e nella vita di tutti i giorni”. 

I costi di una cura di questo tipo, in un centro privato altamente specializzato, sono però elevati. In più, a trasferirsi a Rimini sarà anche Antonella, che dovrà restare accanto alla figlia nel primo periodo di inserimento, fino a quando Beatrice non sarà pronta per affrontare un percorso che potrebbe durare anche più di un anno. Antonella — che nell’affrontare la malattia della figlia rivela essersi trovata molto sola, “perché sono patologie che non vengono capite, ci sono tanta ignoranza e tanti pregiudizi, che riducono tutto ad una questione estetica e di vizi” — ha dovuto sacrificare il lavoro all’assistenza della figlia che, “come scrivono i medici nei referti di dimissione da cliniche e ospedali, è a carico della madre, e si intende ventiquattr’ore su ventiquattro”. Dopo la pandemia, durante la quale ha potuto contare sullo smart working, da marzo Antonella è a casa grazie alle ferie solidali. “Finché ho potuto, ho provveduto con le mie finanze, ma in vista di questa grossa spesa, con grande imbarazzo e pudore, io, e soprattutto mia figlia, abbiamo voluto mettere la faccia per lanciare questa raccolta fondi“. 

Coordinate per la raccolta fondi

Venerdì Beatrice partirà con la mamma per Rimini e per questo nuovo inizio Beatrice è piena di speranza, “perché ho visto che tante persone ce l’hanno fatta dopo quest’esperienza e allora perché non posso farcela anche io? Voglio affrontare al meglio questo percorso per poter studiare all’università e diventare infermiera. Trasferendomi in una nuova città mi aspetto di cambiare persone, di lasciami alle spalle tutte le etichette che mi hanno dato in questi anni, per andare in un posto dove nessuno mi conosce e dove posso crearmi una nuova identità”. Se vuoi sostenere Beatrice e Antonella in questo nuovo inizio, queste sono le coordinate: “Progetto BEA Cure Emilia Romagna” – IBAN IT23N3608105138207094707109, oppure Postepay Carta numero 5333171137033797.

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