La diga di Place Moulin, vero laboratorio sociale

07 Novembre 2011

Un simbolo delle due facce del miracolo economico italiano. Ecco cosa rappresenta, in valle d’Aosta, la diga di Place Moulin, tutt’ora tra le più grandi d’Europa. Gli ingredienti ci sono tutti: un grande sbarramento di cemento da innalzare, quasi una sfida alle montagne, il riscatto sociale ed economico di un territorio fino a quel momento marginalizzato, un bene, l’acqua, da fare fruttare (e da sfruttare), il mito del progresso ai suoi albori, e soprattutto una massa di lavoratori di varia provenienza: un esercito di ex-contadini veneti, lombardi, calabresi, e anche, naturalmente, valdostani, ha costruito la diga un decennio prima delle lotte operaie, lavorando sospeso a centinaia di metri da terra, o nei cunicoli neri delle gallerie, sognando le prime lavatrici del boom. I loro figli e nipoti vivono ancora qui.
Un libro, scritto a quattro mani da Marie-Rose Colliard e Daria Pulz, racconta le storie della generazione che ha costruito materialmente il benessere della generazione successiva, spesso a costo della salute. Molti degli abitanti di Valpelline sono figli o nipoti degli operai che realizzarono l’invaso, e per tutti la diga rappresenta una parte importante della propria storia personale e familiare. Alla presentazione del volume, ieri sera, nel salone parrocchiale di Valpelline, c’erano tutti, anche i testimoni, gli anziani lavoratori intervistati da Daria Pulz, che si definisce essa stessa una “figlia della diga”.
Quanto a Marie-Rose Colliard, ha tratteggiato il contesto sociale e storico precedente alla costruzione della diga esaminando una gran mole di documenti, guide turistiche, memorie, bollettini parrocchiali, articoli. A quanto pare la Valpelline – in particolare Ollomont – sembrava destinata a uno sviluppo turistico paragonabile a quello di Courmayeur, di Valtournenche, di Cogne. Si fantasticava sugli impianti da sci e sugli alberghi pieni. Però qualcosa, evidentemente, si è inceppato. Le infrastrutture stradali, nelle valli turistiche per eccellenza, sono arrivate negli anni ’30, a Valpelline solo negli anni ’50, prima dell’inizio dei lavori di costruzione della diga. Senza strada, niente turisti.
 

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