La figlia di Aldo Moro e l’ex Br Franco Bonisoli: nessun incontro è impossibile
“Gli incontri rappresentano il grande mistero nascosto della nostra esistenza”. Così apre la serata don Nicola Corigliano, membro fondatore dell’Associazione L’Albero di Zaccheo, che dal 2009 ha l’obiettivo di ristrutturare la proprietà situata in località Plan d’Avie di Arpuilles, in un progetto di condivisione e solidarietà ispirato ai valori del Vangelo.
Proprio di un incontro parlano Agnese Moro, figlia dello statista Aldo Moro sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse, e Franco Bonisoli, uno degli ex-brigadisti che partecipò attivamente all’agguato di via Fani.
Prima del loro intervento, Michela Colombarini, vicepresidente dell’associazione, presenta il “Libro dell’Incontro”, scritto dai tre mediatori che hanno accompagnato il percorso riparativo di Agnese e Franco, tra cui il gesuita padre Guido Bertagna. Riprendendo le parole del libro, Michela spiega in cosa consista la giustizia riparativa, che nasce dalla constatazione che il diritto penale “risponde alla violenza con la violenza, ma non restituisce granché alla vittima, perché non è possibile compensare in termini di retribuzione la perdita di vite umane”. Da qui nasce il bisogno di un altro tipo di giustizia, “che veda nell’incontro tra vittime e colpevoli una nuova risposta all’illecito”.
Le pagine del libro esprimono a parole il percorso interiore di Agnese, che rivela al pubblico come, durante i trentun anni successivi all’uccisione di suo padre, abbia “rivissuto milioni di volte ogni giorno quelle cose, in una sorta di dittatura del passato, che come un elastico mi catapultava in quei giorni”. Certo, Agnese ha ottenuto la condanna degli assassini di suo padre: “in teoria sarei dovuta essere soddisfatta, perché la giustizia penale mi aveva dato tutto quello che mi poteva dare, ma sentivo ancora ferite molto vive ed ero come un insetto chiuso in una goccia di ambra, bloccato da rancore, rabbia e sensi di colpa”. Alla fine, però, Agnese è riuscita ad “aprirsi una finestrella in quella goccia di ambra, che non faceva stare male soltanto me ma anche tutti quelli che mi stanno vicino”. Dicendo basta, Agnese ha smesso di essere complice di quella catena di male che si era creata ed ha accettato la proposta di padre Guido: incontrare “l’altro difficile”. Era una richiesta esigente per Agnese, ma le ha fatto capire che “per quanto tu l’abbia fatta grossa, la tua umanità non è perduta”.
Il pubblico non può che trovarsi concorde non appena prende la parola Bonisoli.
Franco racconta la storia di un ragazzo che a diciassette anni abbandona la scuola, seguendo quel sogno di rivoluzione per un mondo migliore che lo spinge, a diciannove anni, a diventare quadro delle Brigate Rosse. In toni meno lirici racconta il duro regime carcerario a cui è stato sottoposto, che ha affrontato prima con la caparbietà di chi ancora credeva nel suo ideale, poi con il malessere di chi iniziava a sentire il peso della sconfitta. “Entrai in crisi quando mi accorsi che il mondo esterno in realtà voleva aiutarci e difendere la nostra dignità umana. Quando fai violenza entri in una logica di guerra, in cui disumanizzi l’altra persona, per colpirlo più facilmente, senza accorgerti che nel frattempo tu stesso abdichi all’umanità”.
Da qui la sua decisione di dissociarsi dalla lotta armata durante la sua detenzione e il successivo percorso intrapreso insieme ad Agnese. “Grazie all’incontro con persone come lei sono riuscito a perdonarmi e a trasformare il mio senso di colpa in senso di responsabilità”.
Agnese e Franco offrono un esempio concreto di come nessun incontro sia impossibile e di come siano riusciti a “volersi bene senza sottovalutare quello che è stato, perché il male che ci ha diviso non ha avuto l’ultima parola e siamo sicuri che non l’avrà mai”.