La notte della Veillà fra cantine, canti e balli
Se a Sant’Orso Aosta sembra cambiare volto, la sua veste più affascinante rimane quella che si scopre a sera e notte inoltrate, quella che, come un lungo fiume sotterraneo, scorre sotto il livello del pavé del centro storico; quella che si consuma contro i muri umidi delle cantine dell’Aosta di altri tempi, cave antiche costruite in un’epoca ormai passata, ma che rivivono ogni fine gennaio e diventano i luoghi più ambiti dove trascorrere il post Fiera. Meno democratica della sorella di Donnas, la Veillà di Aosta è diventata con il tempo un po’ elitaria, considerando la difficoltà di poter accedere al sottosuolo della città senza un invito, ma da diversi anni la tendenza si sta invertendo e la città vede il fiorire di diverse cantine più “aperte”, dove la tradizione si mescola con la contemporaneità della musica, dello stile e della festa, e dove l’ingresso non è più un miraggio.
Riuscire ad accaparrarsi degli inviti per le cantine della Veillà di Sant’Orso è ormai diventato uno dei must della due giorni di festa: sono tante, disseminate lungo le assi romane che hanno fatto la storia dell’urbanistica del capoluogo, ma accedervi è spesso una vera avventura. Ci sono le cantine storiche, quelle sulla bocca di tutti, che diventano delle vere e proprie medaglie da appuntarsi al petto se si riesce nell’impresa di entrare, spesso dopo code infinite. In queste cantine dalle volte a botte si riscopre un’architettura sotterranea incredibilmente ben conservata e valorizzata e i profumi sono quelli di una volta: libero sfogo a brodo caldo, vin brulé, boudin e Fontina, ma soprattutto a canti e balli di una volta. Cantine come queste si trovano in Via Croce di città, via de Tillier, via Maillet e viale della Pace (quest’ultima del Lions Vda con ricavato a favore della Lilt) per citarne solo alcune, ma le new entries non hanno nulla da invidiare, in fatto di atmosfera e convivialità, a queste tappe storiche.
Ad arricchire, e rendere più democratica la serata del 30 gennaio, sono alcuni luoghi che, nati in epoca più recente e in spazi spesso più ampi, riescono a garantire l’ingresso a più persone e a proporre una Veillà contemporanea. Tra questi “la cantina dove si balla lo ska” che cambia ubicazione ogni anno, resa famosa anche dalla sua programmazione musicale che ne ha battezzato il nome, la cantina ex-Gamolle, una volta palcoscenico privilegiato del liscio della Veillà, ora diventata la Crotta di Bou (la taverna del Toro), dove si trova qualsiasi tipo di musica e la birra scorre a fiumi, ma anche la vera novità del 2024, ribattezzata “la cantina dei macellai della Cidac” e presa d’assalto da tantissimi curiosi e visitatori per il suo primo anno ufficiale.
Oltre ai ritrovi dallo spiccato colore politico (primo anno per la cantina di via Antica Vetreria, zona Arco d’Augusto, a gestione Rassemblement Valdôtain), ci sono le sedi dei gruppi folkloristici a garantire rifocillamento e allegria, oltre che la storica sede della compagnia di Teatro Popolare di Lo Charaban, in via Chabloz dove, tra pezzi di scenografie e bozzetti, gli attori garantiscono cibo a km0 e tanto vino rosso.
La Veillà però va in scena anche negli spostamenti tra una tappa e l’altra, in quel percorso sopra terra che conduce gli avventurieri della serata a perdersi non solo tra le vie, ma negli androni dei palazzi, tra i bar e negli angoli meno conosciuti del capoluogo, mentre si rincorre un’altra cantina sulle note dei gruppi folkloristici o tentando in maniera un po’ impacciata di intonare un canto tradizionale seguendo i numerosi cori. Non solo sottoterra, la nottata della Millenaria se invade Aosta lo fa per bene.
La Fiera è una magia millenaria che non smette di far battere il cuore dei valdostani (e non solo), per due giorni più che intensi, ma a far vibrare gli animi e a mettere a dura prova i fisici dei tanti visitatori è la storica Veillà, che, come una caccia al tesoro sospesa tra la superficie della città e le sue intricate viscere di pietra e terra, permette in una maniera tutta valdostana di esplorare il capoluogo e scoprirne angoli e palazzi che difficilmente sono gli stessi la mattina seguente, come se cambiassero aspetto il tempo di una sera, diventando dei non luoghi carichi di significato e convivialità e restituendo il giorno dopo una folla in piedi ancora un po’ frastornata dal viaggio intrapreso.