La protesta della Geriatria: “senza le giuste protezioni” metà dei degenti e del personale contagiato
Per tre ore circa, venerdì scorso, infermieri e oss del reparto di Geriatria dell’Ospedale Beauregard si sono fermati, interrompendo il proprio servizio, per chiedere all’azienda Usl protezioni. Una protesta che montava silenziosa da giorni, dopo la scoperta dei primi casi di positività al Covid-19 fra i degenti e operatori. Diciotto in tutto i malati – nove Oss e nove infermieri – più della metà del personale in servizio nei due reparti acuti e lungodegenti. Alcuni di questi sono già stati dichiarati positivi, altri sono in attesa del referto, altri ancora in attesa di essere tamponati, tutti comunque con una sintomatologia compatibile con il virus.
Ma come si è arrivati a questa situazione e il perché della protesta?
A raccontarcelo son gli stessi operatori, che hanno chiesto però di rimanere anonimi.
“Tutto inizia a metà marzo quando per caso viene scoperto un paziente del reparto acuti positivo al Covid-19, in seguito trasferito al Parini di Aosta dove è deceduto. Al personale viene chiesto di continuare a lavorare e come unica misura precauzionale di mettersi la mascherina a casa con i propri familiari” ci raccontano gli operatori.
Pochi giorni dopo il reparto acuti, con i suoi 19 posti letto, viene chiuso, per trasferire una parte del personale nei reparti Covid del Parini. “I degenti del reparto acuti vengono trasferiti in quello lungodegenti, così come l’altra parte del personale che rimane in servizio al Beauregard”.
Il reparto così accorpato rimane aperto alle visite dei parenti, seppur in orari contingentati (18.30 – 20), mentre il personale continua a lavorare solo con mascherine chirurgiche e guanti. I giorni trascorrono e arriva la possibilità di dimettere alcuni pazienti guariti e che avrebbero dovuto far ritorno nelle microcomunità che li ospitavano. “Prima di riprenderli però le microcomunità ci chiedono di sottoporre queste persone a tampone”. Sebbene asintomatico uno di loro viene trovato positivo al Covid-19. “A quel punto succede il pandemonio. La persona viene trasferita al Parini, i suoi compagni di stanza, poi risultati negativi, vengono isolati e al personale viene chiesto di entrare il meno possibile in contatto con loro e solo con tutti i dispositivi di protezione che nel frattempo, anche se in poche unità, ci vengono forniti”.
Il reparto però non è predisposto come Covid, con ad esempio i percorsi “pulito/sporco” necessari ad evitare contaminazioni. “Il reparto è stato chiuso un giorno, salvo poi riaprire il giorno dopo, con le visite dei parenti nuovamente consentite e con noi, nuovamente in servizio con guanti e mascherine chirurgiche”.
Negli stessi giorni al Beauregard arriva dal reparto medicina del Parini un sospetto Covid. “Il paziente viene messo in una stanza mista, anche perché di stanze singole ne abbiamo solo una, e da noi viene trattato come tutti gli altri ovvero con guanti e mascherine chirurgiche”. Il referto del tampone ne decreterà nei giorni successivi la positività, con il relativo trasferimento nel reparto ex acuti, diventato nel frattempo Covid 9, dove avverrà poi il suo decesso.
Passano altri giorni fino ad arrivare all’inizio della scorsa settimana quando altri due pazienti, che dovevano tornare nelle microcomunità, vengono trovati positivi. “Sono stati trasferiti al Parini e i compagni di stanza messi nuovamente in isolamento, tre camere in totale”. Siamo nei giorni in cui però i reagenti sono esauriti e la risposta sui tamponi non è rapida. “Ad un caso sospetto viene fatta la tac ai polmoni e trovata la polmonite interstiziale. Un’altra donna asintomatica viene invece lasciata da sola in camera diversi giorni in attesa del risultato del tampone – poi negativo – con noi che potevamo avvicinarci a lei il meno possibile.”.
In questa situazione gli operatori sono sottoposti ad un forte stress e lavorano con grande ansia e preoccupazione. “Eravamo tutt’altro che sereni, anche perché i nostri pazienti non sono autosufficienti e quindi hanno bisogno di essere cambiati o imboccati. Impossibile star loro a distanza di sicurezza.”
Una condizione difficile in cui operare, senza contare che fin dall’emergere del primo caso di positività nel reparto lungodegenti accorpato, ad ammalarsi sono anche gli operatori. “Quel giorno in turno c’era una Oss che aveva 38.5 di febbre e dopo esser stata mandata a casa è risultata anche lei positiva”. Dopo di lei altri iniziano ad accusare i sintomi del virus.
Da qui la scelta del personale di incrociare alle prime ore dell’alba di venerdì scorso le braccia, pretendendo protezione e misure per il personale e i pazienti. “Chi ha fatto la notte si è fermato con i colleghi del mattino e tutti insieme siamo stati fermi quasi tre ore a chiedere che qualcuno prendesse provvedimenti.” La situazione si è sbloccata intorno alle 10 del mattino quando la coordinatrice telefonicamente ha dato indicazione affinché tutti i ricoverati fossero sottoposti a tampone e il reparto trattato come “sospetto covid-19” con il successivo l’allestimento dei percorsi pulito sporco”.
Ma la storia non finisce qui perché ovviamente i tamponi mettono in luce il sospetto che da giorni circolava fra gli operatori: nel reparto ci sono dieci ricoverati contagiati. “A questo punto il reparto ex acuti viene riaperto e i dieci positivi della lungodegenza trasferiti lì, assieme ad altri due inviati dal Parini. Il nostro reparto diventato nel frattempo Covid 8 viene svuotato, con sei pazienti dimessi lunedì scorso e tornati nelle micro”. Assieme al reparto lungodegenza arriva poco dopo anche la chiusura dell’ex acuti con la sanificazione dell’ala del Beauregard e il trasferimento del personale, sano, ancora in servizio al Parini.
“Perché quando è emerso il primo caso non si è deciso di chiudere alle visite e sopratutto si è deciso di compattare i due reparti acuti e lungodegenti? – si chiedono gli operatori – Abbiamo a che fare con i soggetti più a rischio, gli anziani, perché non li si è tutelati e non si è tutelato il personale? Alcuni di noi stanno veramente male. Ci aspettavamo un maggior piglio da parte di chi sta gestendo questa situazione. Dicono che la loro priorità è la sicurezza del personale, ma a noi non sembra proprio. Ci siamo sentiti abbandonati dal nostro primario e dalla nostra coordinatrice”.