La storia di Sara, infermiera positiva al Covid 19: “non è detto che io l’abbia contratto in ospedale”
Da venerdì 20 marzo Sara Dematteis coordinatrice infermieristica, in prima linea nell’allestimento dei reparti Covid 19 dell’ospedale Parini di Aosta, è costretta a casa. Si è svegliata quella mattina con febbre a 38.5, stanchezza, mal di testa, non sentiva più i gusti. Inevitabile, anche per le competenze professionali di Sara, il sospetto di aver contratto il Coronavirus. “Ho chiamato il 112, ho avvisato l’ospedale e sono entrata nella procedura per i casi sospetti”.
Il giorno seguente, sabato 21 marzo, a Sara viene fatto il tampone e la domenica ha il responso: positiva. “Già nei giorni precedenti accusavo grande stanchezza, ma le giornate al lavoro erano lunghe anche 12 o 14 ore e molto pesanti e non ci ho fatto tanto caso”.
Ci tiene a specificare Sara come “non sia certo che il virus io l’abbia preso in ospedale, sono stata a stretto contatto con un mio parente che a metà febbraio, in periodo ancora non sospetto, ha avuto una tosse secca e persistente, secondo me senza saperlo lui aveva il virus”. Anche perché “per quanto riguarda il reparto Covid finché sono stata al lavoro posso dire che tutto il personale aveva i dispositivi di protezione come camici idrorepellenti, guanti e mascherine e che abbiamo lavorato in sicurezza, i problemi sono sorti dopo”.
Il decorso della malattia per Sara è stato, soprattutto se paragonato ad altri, piuttosto sereno. Non ha avuto bisogno di ossigeno, né di andare in ospedale. “Tolte le prime 48 ore di febbre e la continua stanchezza, il sintomo per me più fastidioso sono state le fitte al torace che mi toglievano il fiato”.
Da quel giorno Sara vive isolata, il marito è andato a vivere al piano di sotto e le porta cibo e gli antidolorifici. Come tutti i pazienti Covid 19 a domicilio è seguita da un’equipe di medici, l’unità USCA, che telefonano a casa tutti i giorni per accertarsi delle condizioni. “Ti chiedono i sintomi, verificano le condizioni e se le condizioni si aggravano attivano il medico di medicina generale o chiamano un’ambulanza per una lastra”.
A distanza di più di una settimana le sue condizioni sono migliorate. “Ora sto abbastanza bene, spero di tornare presto al lavoro”. Per farlo dovrà essere dichiarata guarita: la prassi prevede due tamponi negativi a distanza di 24 ore.
Da quel venerdì, a malincuore, ha dovuto abbandonare i colleghi con cui ha lavorato per riorganizzare interi reparti. “Faccio la caposala, abbiamo lavorato in fretta, insieme agli altri coordinatori dell’ambito chirurgico e al personale delle malattie infettive”. Dal 9 marzo con i medici hanno rivoluzionato l’ospedale, aprendo nuovi reparti dedicati, individuato zone di vestizione, percorsi pulito sporco, nuove procedure da seguire. “Fortunatamente l’infermiere in ambito chirurgico è abituato alla velocità, ha un’elasticità mentale che è di grande aiuto nei cambiamenti”. Di punto in bianco si sono trovati a lavorare in modo e in ambiti completamente diversi. “Anche i pazienti hanno esigenze e bisogni particolari, non eravamo finora abituati ad assistere questa tipologia di malati”.
Il consiglio a chi come lei si trova a domicilio? “Sfruttate la telefonata con l’equipe medica che vi segue per chiarirvi i dubbi, sentite il vostro medico, non affidatevi alla rete, è impossibile capire in questo momento le fonti affidabili da quelle che non lo sono”.