L’allontanamento dalla famiglia e la vita in comunità raccontati in prima persona
Una separazione complicata, alcuni problemi economici, il rimpallo delle responsabilità e l’oggettiva fatica ad accudire i quattro figli. E’ così che per Eleonora, oggi residente in Francia con un lavoro da chef, e per i suoi fratelli, il 13 luglio 2004, si aprono le porte della comunità minori di Aosta. “Avevo 14anni, me lo ricordo come fosse oggi: quel giorno per noi fratelli è diventato il panna cotta day perché, appena entrati in comunità, come dessert, a pranzo, ci diedero questo dessert e ancora oggi, ogni anno, lo celebriamo” ci racconta.
I quattro fratelli vengono divisi, i tre più grandi, compresa Eleonora, finiscono nella comunità per gli adolescenti mentre la più piccola viene inserita nel servizio dedicato ai bambini. “Non ho mai capito in fondo questa separazione, per un solo anno di differenza avrebbero potuto evitare a mia sorella piccola di trovarsi da sola in una struttura, in mezzo a bambini che non conosceva. Ma allora le regole erano così, penso che per lei sia stata più dura”.
L’allontanamento e l’ingresso in comunità
L’ingresso in comunità è emotivamente difficile. Soprattutto perché inatteso. “Alcune settimane prima la psicologa mi aveva parlato di questa eventualità, escludendola per noi, quindi mi sentivo tranquilla”.
Il Tribunale, però, decide che i genitori di Eleonora non sono, almeno in quel momento, in grado di occuparsi dei figli e dispone l’allontanamento. Con modalità che, anche a distanza di anni, Eleonora trova discutibili. “Ci hanno portato via da casa con una scusa, la cosa mi ha fatto soffrire. L’educatrice che accompagnavano mia sorella ci ha invitato a fare colazione al bar e di lì a poco ci siamo ritrovate in un ufficio in cui ci hanno comunicato che non saremmo più tornati a casa”. Anche gli altri due fratelli che frequentavano il centro estivo vengono prelevati senza preavviso. “Hanno fermato l’autobus su cui stavano viaggiando e li hanno fatti scendere”.
La rabbia è il sentimento che la accompagna nei primi giorni, Eleonora lo ricorda con lucidità. “Non volevo parlare le persone mi infastidivano ed ero insofferente nei confronti delle tante regole imposte”.
In comunità può uscire solo in determinati orari, deve formulare per iscritto qualsiasi richiesta e può incontrare i suoi genitori una volta alla settimana, sempre solo alla presenza di un educatore. “Non mi sentivo granché libera, mi sembrava che mia madre e mio padre fossero trattati come persone pericolose, quando in realtà non ci hanno mai fatto del male”.
La fiducia e il sostegno degli educatori
Con il tempo però le cose migliorano: Eleonora capisce che deve conquistare la fiducia degli educatori. Lo fa ed inizia ad avere più libertà. Soprattutto in estate, insieme agli altri ragazzi, può svolgere piccole commissioni, uscire per fare la spesa o una passeggiata, partecipare a qualche serata con amici. Piccole azioni quotidiane che le restituiscono un po’ di normalità. In lei in quel periodo è forte il bisogno di sentirsi un’adolescente come gli altri. “Con i miei coetanei ho tenuto nascosto per tanto tempo la mia vita un comunità, avevo paura che le persone giudicassero negativamente i miei genitori, senza conoscerli e senza sapere nulla delle loro difficoltà”.
Nel mentre partecipa alle tante attività organizzate dalla struttura che arricchiscono le sue giornate e il bagaglio delle sue esperienze: gite, vacanze, progetti e corsi. In questo modo ritrova l’equilibrio perduto negli anni dei conflitti in famiglia, frequenta con profitto la scuola alberghiera, si fidanza.
Negli educatori della struttura Eleonora trova persone con cui confidarsi, parlare quando è triste, chiedere consigli. “Mi hanno aiutato tanto, ancora oggi, dopo 15 anni, con alcuni di loro mi sento telefonicamente. Nonostante l’età, ho sempre preferito rivolgermi a figure adulte piuttosto che ai miei coetanei”.
Tra i suoi fratelli Eleonora è l’ultima a lasciare la comunità minori, dopo il diploma. Ha 19 anni e decide di tornare dalla madre. “Mio fratello e mia sorella dopo un anno di vita in struttura sono stati accolti da mio padre. Io, pur amandolo immensamente, non me la sono sentita, ho pensato che avrei sofferto di più in quel contesto perché io e mio padre abbiamo caratteri che mal si conciliano”.
Nonostante le fatiche e i difficili equilibri emotivi che le situazioni di allontanamento familiare, anche temporaneo, creano, Eleonora in comunitàha trovato un luogo in cui crescere, ha recuperato la serenità che il contesto familiare non era in grado di offrirle, ha mantenuto e coltivato il legame affettivo con i suoi genitori e i suoi fratelli, anche se con tempi e spazi diversi. Soprattutto è riuscita a costruirsi un futuro che ora le consente di lavorare nelle cucine di ristoranti stellati in Italia e all’estero.