Marta Galvagno, la biologa che studia gli effetti dei cambiamenti climatici
“Per me la biologia è stato un colpo di fulmine, non ho mai pensato di intraprendere un’altra carriera. Ho sempre avuto la curiosità di capire come funzionano le cose del mondo e della natura e fare la biologa mi permette di continuare a nutrirla”. Marta Galvagno non ha scelto di diventare una scienziata: la biologia ha scelto lei fin dall’inizio.
Biologa e ricercatrice in Arpa, Galvagno si occupa di studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sul territorio attraverso l’analisi di alcune piante tipiche dell’ecosistema alpino. Il suo è un lavoro di ricerca che richiede competenze e conoscenze specifiche, la presenza sul campo (nel suo caso in alta montagna), il continuo studio e aggiornamento. Un lavoro impegnativo e stimolante che offre grandi soddisfazioni, ma presenta diverse difficoltà, in particolare per le donne, dato l’ambiente ancora a prevalenza maschile. Secondo l’ultima analisi di McKinsey – scrive Ansa in un lancio dell’11 febbraio 24 – anche se il numero delle donne laureate in Italia supera quello degli uomini, solo un laureato su tre nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics’ ovvero scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è di genere femminile, più precisamente il 38%.
Qual è stato il tuo percorso formativo, come hai scelto questo lavoro?
“Io sono biologa ambientale e sono arrivata a fare questo lavoro perché alle superiori ho scoperto la biologia anche grazie all’incontro con una professoressa di scienze che mi ha passato questa passione. E’ stato un colpo di fulmine per me e mi ricordo ancora il momento in cui leggendo libri di biologia ho proprio deciso che sarei diventata biologa.
All’università, quindi, mi sono iscritta a biologia. Ecco qui ho vissuto un momento in cui in famiglia hanno cercato di reindirizzarmi, anche perché non si capiva bene quali sbocchi potesse avere questa facoltà. Ma io volevo studiare, capire come funzionano le cose, come funziona il mondo e la natura.
All’università non ho mai avuto percezione di uno squilibrio anche perché biologia è una facoltà scientifica in cui ci sono più donne rispetto alla media delle STEM. Questa differenza l’ho sentita di più quando sono entrata nella magistrale di biologia ambientale. Qui il numero di studentesse si è ridotto di molto e non in modo proporzionale”.
Descriveresti il tuo ambito professionale come a prevalenza maschile?
“Si, anche se meno di altri campi, come ad esempio ingegneria, geologia o scienze forestali. Nel mio ufficio sono stata l’unica donna per molti anni, ma noto questa disparità anche quando vado alle conferenze di settore: in queste occasioni ho a che fare con colleghi e scienziati proveniente da tutta Europa e qui si nota una più forte prevalenza di uomini. Anche se negli ultimi anni ci sono stati dei passi in avanti per riequilibrare un po’.
Da una parte mi dà fastidio quando vengo invitata alle conferenze come ‘quota rosa’ ma dall’altra questo serve anche ad evitare che le cose vengano organizzate solo da uomini e si creino dinamiche a senso unico che finirebbero poi per escludere le donne non in quanto donne, ma per via di un ambiente che è sempre stato a prevalenza maschile. Ecco noto anche che tra le mie colleghe si possono creare addirittura relazioni di competizione per via dei pochi posti dedicati alle scienziate, ma secondo me è importantissimo proprio per questo spingere dalla parte opposta e coltivare attivamente rapporti e relazioni tra donne, ricercatrici e scienziate del settore”.
Ti sei mai trovata di fronte a difficoltà e discriminazioni legate al tuo genere?
“Fino a qualche mese fa nel mio gruppo di lavoro c’erano soli uomini, ma adesso è stata assunta una collega, c’è una dottoranda che lavora con noi e abbiamo ricevuto curricula e richieste di informazioni da diverse ragazze interessate a questo lavoro.
In ogni caso non mi sono mai sentita discriminata nel mio gruppo di lavoro. Queste disparità di genere mi sono sempre state fatte notare da fuori mentre a me non sono mai pesate. Spesso mi sentivo chiedere ‘ma anche tu quindi fai il lavoro sul campo, vai con i tuoi colleghi a fare queste cose?’. Riflettendoci, però, ora sono giunta alla conclusione che anche se non mi sono mai sentita personalmente discriminata nel mio gruppo di lavoro, ho sempre sentito di dover dimostrare di essere all’altezza dei miei colleghi. Io sono consapevole di essere fortunata, ma so anche che il problema della discriminazione di genere esiste per molte donne”.
Al di là di quelle legate al genere, quali sono le difficoltà nel tuo lavoro?
“In generale posso dire che ci va un sacco di determinazione, tanta passione e ci si scontra spesso con la frustrazione di non riuscire a raccogliere i risultati voluti. Le nostre ricerche sono progetti a lungo termine, partono dalla raccolta dati, poi c’è la rielaborazione e bisogna studiare tantissimo. In più adesso c’è anche una parte di restituzione alla popolazione dei nostri studi che è molto importante, ma sono tanti passaggi da gestire. In questo lavoro non bisogna farsi abbattere dalle sfide, anche quelle ambiziose, non bisogna mai lasciarsi scoraggiare dall’idea che manchino le competenze: le competenze si possono acquisire, è un apprendimento continuo”.
Quali sono gli aspetti che ti danno più soddisfazione e che ti piacciono di più del tuo lavoro?
“Stare nella natura per fare ricerca e raccogliere dati. E poi continuare ad imparare per seguire questa mia curiosità di capire come funziona il mondo. Un’inclinazione che si manifesta in ogni aspetto del mio lavoro, dalle cose piccolissime come capire perché uno strumento non funziona, a quelle più importanti. Insomma mi piace molto il fatto che questo lavoro mi permette di avere un contatto diretto con la mia curiosità”.