Intervista a Federica Brignone: “Le Olimpiadi sono anche questione di testa”
Si dice sempre mens sana in corpore sano, ma è anche vero l’inverso: corpus sanum in mente sana. Per un atleta, ed in particolare per un atleta di alto livello, ogni minimo dettaglio è un ingranaggio fondamentale che deve contribuire a far funzionare alla perfezione la “macchina”: i muscoli, la tecnica, gli equilibri fisiologici e nutrizionali e, in grande percentuale, la testa. Corpo e mente si parlano, cercano di aiutarsi l’un l’altro – a volte capita che si ostacolino – per contribuire a raggiungere gli obiettivi.
Roberto Greco, che insieme a Christian Grossi ha dato vita allo Studio HRS, si occupa proprio di questo: è psicologo e fa il mental coach di molti sportivi, tra cui diversi che parteciperanno ai Giochi Olimpici di PyeongChang, al via tra pochissimi giorni. Il suo lavoro consiste nell’aiutare gli atleti ad allenare, e quindi migliorare, le proprie abilità mentali. Ha avuto diversi atleti di Coppa del Mondo, “un privilegio ma anche un rischio: se qualcuno viene da noi solo perché va di moda avere un mental coach si rischia di fallire su tutta la linea”.
Tra i “suoi” partenti c’è Federica Brignone, sicuramente una delle punte di diamante della spedizione azzurra. Federica si è affidata a Roberto circa tre anni fa: “Avevo sentito parlare di lui e Christian da una persona fidata”, racconta. “Ero in un periodo difficile, al termine di una stagione non positiva in cui avevo bisogno di fare tutto il possibile per raggiungere i miei obiettivi: ero anche pronta a mettermi l’animo in pace e capire che non potevo arrivare a certi livelli. È stato un bisogno di aiuto che avevo”. La sciatrice di La Salle si è messa subito a disposizione, con la tanta voglia di lavorare che la contraddistingue anche sul piano atletico: “Io porto Federica come un esempio per i più giovani: è una gran lavoratrice, una macchina”, spiega Greco. “È cresciuta molto sul piano dei risultati anche perché ha lavorato tanto a livello mentale. Si mette a disposizione, chiede, si fida: non è scontato che sia così, e questo dimostra una grande professionalità da parte sua. Il lavoro non è unilaterale, io le do i miei strumenti e le mie competenze, ma poi chi deve fare il lavoro è lei”. Fondamentale, in questo, è la distinzione dei ruoli: ci sono i preparatori atletici, gli allenatori, gli affetti, e gli psicologi. L’importante è non perdere i riferimenti e, appunto, fidarsi, perché magari i risultati non sono immediatamente ed oggettivamente percepibili come possono esserlo a livello fisico, ma alle spalle ci sono studi ed esercizi provati scientificamente che dimostrano la propria efficacia più avanti.
Questa è stata la “stagione delle Olimpiadi”, ed inevitabilmente può sembrare diversa dalle altre, anche se uno dei lavori di un mental coach è quello di far concentrare l’atleta sull’oggi, sul qui e ora. Da un lato, quindi, ogni gara va vissuta volta per volta, ma con la consapevolezza che comunque i risultati avrebbero deciso l’accesso alla squadra olimpica. Per Federica Brignone le cose non si erano messe subito bene per via di una pubalgia a fine estate: “Ora sto meglio, non ho più avuto fastidi da inizio gennaio, ma è stato molto difficile perché era un infortunio che non sai mai quando possa passare: due settimane o due mesi. Se non mi alleno e non so per quanto devo stare ferma vado in crisi, ma più mentalmente che fisicamente”, spiega. Roberto Greco ha dovuto “tranquillizzarla e riportarla su un piano di realtà, farle capire che non sono due settimane di stop a farle perdere le capacità che ha acquisito”. Brignone è una che si mette tanto – a volte troppo – in discussione, una forza ma anche una debolezza, e “faccio impazzire chi mi sta intorno”, dice scherzando.
A PyeongChang Federica si presenta da protagonista: come si gestisce questa cosa? “Dovrebbe essere una cosa positiva, perché a Sochi ed a Vancouver non mi presentavo sicuramente in questa situazione. Punti alla mano, non ne ho mai avuti così tanti a gennaio. Dall’altro lato della medaglia so che tutti – me compresa – pretendono molto. Io devo andare lì cercando di fare la migliore prestazione, solo così posso avere ambizioni di medaglia. Ci sono molte aspettative e pressioni su di noi, purtroppo in Italia succede spesso che gente che non abbia mai sentito parlare di noi “pretenda” qualcosa, e se non ce la fai sei una pezza da piedi. Non è così, ognuno va per dare il massimo, tutte le sessanta partenti, e le medaglie sono solo tre per gara. Se non ne arriveranno sopravvivremo lo stesso, così come siamo sopravvissuti alla non qualificazione ai Mondiali della nazionale di calcio. Qui ti giochi tutto in uno o due minuti, a volte ci si dimentica di questo aspetto”. In effetti da qualche anno la Valanga Rosa è tornata, e Brignone ha contribuito a questa rinascita dello sci alpino azzurro al femminile: se non dovesse arrivare la medaglia olimpica non sarà certo un fallimento, e la prima ad essere delusa sicuramente sarà lei. Il lavoro del mental coach passa anche per questo: “Le interviste, i riflettori, le aspettative aumentano sicuramente lo stress sugli atleti. Noi dobbiamo anche fare un po’ da parafulmini, e far passare il concetto che tutto è importante allo stesso modo, dall’allenamento a giugno alle Olimpiadi. Sembra una banalità, ma se un atleta lavora al 100% per una gara, ai Giochi non può andare al 110%, ma sempre al 100. Mentalmente non c’è qualcosa di più importante di altro”.
Dopo un mese in giro per gare senza mai tornare a casa, Federica Brignone si è potuta riposare un po’, fisicamente e mentalmente. Lei e Roberto danno l’impressione di essere davvero una squadra, e molto solida, anche se solo di due persone: l’affinità professionale tra loro si vede e si percepisce, c’è una compattezza difficile da esprimere a parole. Tutti e due guardano nella stessa direzione, e tutti e due viaggiano nella stessa direzione, in marcia su una strada che stanno costruendo insieme.