AAA cercasi competenze educative per genitori moderni

13 Febbraio 2017

Vi siete mai chiesti cosa significhi quella tripla A messa davanti agli annunci? L’ho scoperto: non significa niente! E’ solo un escamotage affinché l’annuncio risulti in alto, perché nelle rubriche vengono posti in ordine alfabetico. Ho notato quelle 3 A per caso (stavo cercando su Google una bacchetta magica che rassettasse casa, stendesse lavatrici e cucinasse la cena al posto mio, ma pare non esista ancora in commercio…) ed ho pensato che ci sono anche 3 parole, siglate tutte dalla A iniziale, che invece riguardano l’agire educativo; ma sono parole equivoche, spesso travisate, che non sempre ci fanno essere dei genitori competenti. Certo, servirebbe fare un articolo per ognuna di loro, lo so…ma che dite se oggi cominciamo con un “aperitivo educativo”?

A come AMORE

Siamo anche in tema, dato che domani è San Valentino. Ma quella non è la festa degli innamorati? E perché, oramai da qualche anno, le bacheche di Facebook sono intasate di post colmi di cuori e baci dedicati ai propri figli, proprio il 14 febbraio? E i fiorai ci raccontano che mamme e papà passano a comperare un mazzolino di rose…per i figli, e non per il partner! Ammettiamolo: viviamo in un’epoca dove i figli sono diventati oggetto di amore da parte dei genitori. Ma è un amore davvero materno e paterno? E’ un amore fatto di cure e accudimento, che vuole dare sicurezza al figlio, che sa anche limitare (eh sì, sembra paradossale, ma stiamo amando anche quando diciamo un NO) o è un amore fondato solo sul bisogno di affetto e coccole, sul godere di quel sentimento amorevole che i bambini sanno darci. Certo, finché sono piccoli. Ma poi? Sappiamo di quanto astio e ingratitudine siano capaci gli adolescenti.

Non è che ci siamo smarriti, dimenticandoci che i “bisognosi” di amore sono i figli, e non siamo noi? E che l’amore genitoriale non è quello che dice sempre “sì”, ma quello che spesso genera anche sane frustrazioni nei figli, bambini o adolescenti che siano; quello che non asseconda ogni loro richiesta, ma quello che genera, a volte, quel sentimento di rabbia ben espresso nella frase dei piccolini: “sei una mamma cattiva” (gli adolescenti si esprimono con altro gergo che qui evito, per non essere censurata!). Caroline Thompson, nel suo interessante libro “Genitori che amano troppo – e figli che non riescono a crescere”, dice: “si è verificata un'inversione di ruoli per cui non sono più i genitori a guidare i figli, ma sono i figli a dover sostenere i genitori smarriti, vittime di angoscia di separazione. E più i genitori sono angosciati, più i figli sono sommersi dal senso di colpa e oscillano tra sottomissione e ribellione, senza riuscire a trovare la via dell'indipendenza. Il figlio è sovrano, ma è un sovrano prigioniero del suo regno”.

A come ATTENZIONE

Ecco la correlata sorella della parola amore. “Stai attento che puoi cadere”, si sente al parco giochi; “attento, se continui così finirai per stare bocciato”, esordisce un padre al figlio adolescente. L’attenzione in educazione è spesso gestita in due chiavi disfunzionali: o viene usata come minaccia, o viene agita in modo scorretto, impedendo di sviluppare le autonomie di cui parla la Thompson. Oggi si confondono le “attenzioni educative” con l’iper-tutela, l’iper-presenza, le iper-opportunità date ai figli. Un genitore attento non sempre ‘difende’ il proprio figlio, soprattutto quando ha sbagliato, magari in una litigata al parco giochi con gli amichetti, o quando ha preso in giro, come altri, un compagno nel gruppo WhatsApp della classe. Un genitore attento è quello che si fa spesso delle domande, è quello che coglie i bisogni del figlio, è quello che sa ascoltare le emozioni del figlio, anche quando non ha le risposte.

E’ quello che si decentra dal proprio sé per capire quali siano i talenti dei figli, e non gli fa fare 4 sport diversi per dargli più opportunità possibili, o perché proietta sul figlio aspettative personali. Un genitore attento segue i figli nella scuola, interessandosi a ciò che fanno e a ciò che pensano, ma non studiando al posto loro, o riempiendoli di esercizi integrativi, per far guadagnare un 8 anziché un 7. Un genitore attento sa cosa fanno i figli nella vita off-line e in quella on-line, quando navigano e sono sui social, presidia e dialoga con loro, senza quella ingenua fiducia, velata dalla frase “no, mio figlio non lo farebbe mai”; quello non è rispetto, è disattenzione. Ed è una distrazione che oggi non possiamo permetterci.

A come ANSIA

Che messaggio diamo ai nostri figli se siamo sempre preoccupati di tutto? Quando sono piccoli temiamo che cadano o si feriscano (ma come si può imparare a camminare senza cadere?), li vediamo già al pronto soccorso quando si arrampicano su un muretto (e magari sono solo saliti di 20 cm!), chiediamo loro di mandarci un messaggio appena usciti da scuola, o quando stanno per andare a dormire la sera ospitati a casa dell'amichetto di scuola (se sono piccoli, ci sarà un'altra mamma o un papà che sa dare la buonanotte come noi!); vanno in gita con la scuola, e vogliamo che abbiano il cellulare con sé, a dispetto magari di una scuola coraggiosa che chiede di lasciarlo a casa. Certo, il messaggio che veicoliamo, con tutta quest’ansia nell’aria, non è certo di fiducia. Né verso di loro, né verso gli altri adulti.

L’alter-ego di questa ansia pseudo-patologica è però l’assenza di una sana pre-occupazione, quando sono più grandi. L’adolescenza è un’età complicata, si sa; oggi più che 30 anni fa. Non vi nego che sono un po’ allarmata quando vedo, al contrario, troppa tranquillità in chi ha figli quindicenni, e pare ormai arreso. Rassegnato al fatto che “il figlio ormai è grande, cosa ci vuoi fare?”; magari un figlio che al sabato sera girovaga per la città fino alle 3 di notte, non si sa con chi, né dove, né facendo che cosa. Ecco, io in quel caso, invece, un po’ di sana ansia me la farei venire. Il dizionario definisce l’ansia come una “affannosa agitazione interiore provocata da bramosia o da incertezza”. Un po’ di desiderio di sapere quale razza di vita parallela stiano vivendo i vostri figli adolescenti fatevelo venire, vi prego! Perché come dico sempre al nostro adolescente “non è che non mi fido di te, non mi fido della tua età”.

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