Cinquant’anni fa si chiudeva la produzione della Dino 246 GT, la leggendaria Ferrari

03 Aprile 2023

Alfredo dettoDino” era il primogenito di Enzo Ferrari. Affetto da una forma severissima di distrofia muscolare morì a soli ventiquattro anni, il 30 giugno 1956. La sua – purtroppo – breve vita non gli impedì di diventare ingegnere e di ideare, da autentico genio qual era, il propulsore a sei cilindri di 1986 cc trasversale a due bancate con l’originale angolazione a 65 gradi. Un propulsore progettato per la Formula 2 dell’epoca ma che conobbe parecchia fortuna anche nella produzione di serie.

Chissà quali altre perle Dino ci avrebbe regalato se il destino beffardo non se lo fosse portato via. Il motore fu montato sulla Dino 246 GT, una vettura entrata in produzione nel 1969 fino al 1973, giusto cinquant’anni fa. Declinata in versione sia coupé che spider (denominata, quest’ultima, 246 GTS con il tettuccio di tipo “Targa”), la vettura aveva altri due padri di alto lignaggio: per il design Aldo Brovarone di Pininfarina e Sergio Scaglietti per la carrozzeria. Non serve aggiungere altro, credo.

E infatti, la Dino 246 GT, erede ed evoluzione della 206 GT, resta una macchina stupenda, una delle poche a sopravvivere al suo tempo. Le linee sono filanti, sinuose, personalissime senza necessità di essere aggressive. I puristi sanno che questo capolavoro non è, formalmente, una Ferrari. Infatti, con una sorta di spin off antesignano, Dino, nel 1965, divenne un marchio a sé, dedicato alla memoria del figlio di Ferrari e alle entry level della Ferrari.

Ovviamente, nella sostanza, Dino era a tutti gli effetti un Cavallino, dotata di prestazioni eccellenti. Qualche dato: velocità massima pari a 235 chilometri orari, per un’accelerazione da 0 a 100 chilometri orari in 7”2 (siamo negli anni sessanta). L’esordio della 246 avvenne al Salone dell’Automobile di Torino, che allora albergava nel salotto di Torino Esposizioni. Con alcune variazioni che si riveleranno particolarmente azzeccate.

La cilindrata del motore, con blocco cilindri in ghisa, salì a 2.4 litri, e produsse un conseguente incremento di potenza – 195 cavalli – e di coppia – 24.1 chilogrammetri. Il cambio era a cinque rapporti, l’alimentazione assicurata da tre carburatori doppio corpo Weber. Scaglietti introdusse l’acciaio per la costruzione della scocca, pur mantenendo le portiere e il cofano in alluminio. La 246 GT, negli anni della sua produzione, non conobbe variazioni significative, ma alcuni dettagli diedero origine alle serieL”, “M” e “E”.

La “L”, ad esempio, presentava le ruote con gallettone singolo, la “M” la carreggiata posteriore aumentata di 30 millimetri, la “E” la posizione di riposo del tergicristallo, che da centrale si spostava alla destra del parabrezza. Alla fine del 1971 fece la sua apparizione una versione destinata esclusivamente al mercato degli Stati Uniti d’America. Il motore “Dino” fu montato anche sulla omonima Fiat e sulla Lancia Stratos, dando un contributo fondamentale ai successi della Bȇte à gagner. I bene informati asseriscono che Lancia ottenne il propulsore a patto che Sandro Munari affiancasse Arturo Merzario nella “Targa Florio” del 1972, che la Ferrari si aggiudicò con la 312 P. Oggi, una Dino 246 GT ha un valore di mercato di oltre 300.000 euro.

Exit mobile version