Gilles Villeneuve avrebbe compiuto 75 anni, una vita “oltre il limite”

27 Gennaio 2025

“Io gli volevo bene”. Non era usuale, per un uomo come Enzo Ferrari, lasciarsi andare a simili dichiarazioni di affetto, sintetiche ma proprio per questo profonde. Gli occhiali scuri, proverbiali, nascondevano le emozioni e i dolori, quando un suo pilota perdeva la vita. Il Commendatore fece una delle rare eccezioni per Gilles Villeneuve, che una decina di giorni fa avrebbe tagliato il traguardo dei settantacinque anni, se non ci avesse lasciato in quel terribile incidente a Zolder, nel 1982. Aveva soltanto trentadue anni.

Villeneuve è stato uno degli ultimi “Cavalieri del Rischio”, protagonisti di un’era epica e drammatica, che prevedeva il pericolo ad ogni curva, con standard di sicurezza lontani da quelli odierni. Il giovane Gilles si era fatto le ossa sulle motoslitte, conquistando il titolo mondiale nel 1974. Una palestra unica ed originale, alle prese costantemente con una scarsa (eufemismo) aderenza e con la neve sollevata che ostacolava la vista.

Il passaggio alle monoposto diventa una conseguenza naturale. Dalla Formula Atlantic direttamente alla Formula Uno, alla McLaren. La Ferrari intuisce il potenziale di Villeneuve e lo ingaggia a fine 1977. Un grave incidente in Giappone è lo sfortunato incipit della carriera: dopo un contatto con la Tyrrell di Peterson la Ferrari 312 T2 vola sulle tribune e causa la morte di un commissario di gara e di un fotografo. Nasce in questa circostanza drammatica il nick name “Aviatore”, che, successivamente, lo farà invece amare dai tifosi della Scuderia e non solo.

Il canadese era un impasto di ricerca continua e diremmo estenuante ed ossessiva del limite, possibilmente da superare, e di lealtà sportiva, osservata come una legge suprema. Per questo è sconcertato, forse sconvolto, dal sorpasso subito ad Imola, Gran Premio di San Marino, il 25 aprile 1982. Contravvenendo, raccontano le cronache, all’ordine dal muretto, il compagno di squadra Didier Pironi supera Gilles all’ultima tornata.

Per Villeneuve è un tradimento, almeno così lo vive. Non è mancato chi ha ricollegato la fine di Zolder, l’ennesima e fatale sfida al limite, ad uno stato d’animo prostrato. A Villeneuve sembrava importare l’impresa più del risultato. Come, nel 1981, al Gran Premio di Monaco, quando porta alla vittoria il primo motore turbo di Maranello e soprattutto al successivo Gran Premio di Spagna, quando ricorrendo a tutta la sua classe immensa riesce a tenere dietro una muta di avversari ansimanti e veloci del calibro di Jacques Laffite su Ligier, John Watson su McLaren, Carlos Reutemann su Williams e Elio De Angelis su Lotus: cinque piloti nello spazio di 1”240.

L’impresa per antonomasia va però in scena in Francia, sul circuito di Digione, il primo luglio 1979. Villeneuve su Ferrari T4 e Arnoux su Renault RS 10 danno vita al duello più iconico della storia. Sono tre giri, quelli finali, di sorpassi continui, ognuno dei quali appare decisivo e invece la situazione continuamente si ribalta, gomma contro gomma, ogni minimo angolo è la porta per infilare l’avversario. Alla bandiera a scacchi, prevale Villeneuve, per 240 millesimi. La gara la vince Jean Pierre Jabouille, ed è un’affermazione epocale perché la prima di un motore turbo, su cui Renault aveva scommesso da anni. Ma il proscenio è tutto per Villeneuve e il suo degno rivale Arnoux.

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