L’Italia dice addio all’Ape Piaggio. Dopo 76 anni si ferma la produzione a Pontedera
Come è naturale che sia, i pilastri e i simboli del secolo scorso stanno scomparendo, ultimamente con una certa speditezza e senza particolari onori, che invece spesso meriterebbero. Simboli che hanno contraddistinto un’epoca, quella che viene definita dei “Temps Glorieux”, cioè l’arco temporale che copre il trentennio 1945 – 1975. L’era della Guerra Fredda, certamente, ma anche della ripresa, della rinascita, dell’Europa e dei Paesi che la componevano, dopo lo strazio morale e materiale del secondo conflitto mondiale.
È recente la notizia dell’abbandono della produzione dell’“Ape Piaggio”. Dopo settantasei anni, termina l’avventura della storica fabbrica toscana di Pontedera: il testimone passa allo stabilimento indiano che Piaggio possiede da un quarto di secolo. I motivi? A quanto pare, la normativa europea green stringente in termini di ambiente e sicurezza.
Sia come sia, è la fine di una storia che ha accompagnato lo sviluppo, il boom degli anni sessanta e che ne ha rappresentato l’aspetto sano, la voglia di fare, di riscattarsi, di progredire. Piaggio aveva inventato la “Vespa”, ideata da un fuoriclasse della tecnica come Corradino D’Ascanio. È lui a caratterizzare lo scooter con la scocca portante e, in virtù della sua specializzazione in ingegneria aeronautica, ad adottare paradigmi innovativi per sospensioni e motore.
“Vespa” significa vita stretta, quindi glamour, ma anche spirito di servizio, come recitava un noto claim, con un operaio che si recava al lavoro rilassato esclamando: “Vespizzatevi”. Non poteva conseguentemente mancare l’alter ego, un modello fatto per esaltare l’operosità, un mezzo ideale per piccoli commercianti o artigiani ma non solo.
Ed ecco l’”Ape”, sempre frutto del talento di D’Ascanio, che esordisce nel 1948. È una “Vespa” che perde la coda per ospitare un carretto multiuso, insomma un motocarro. Tre ruote, cento centimetri cubi, velocità di quaranta chilometri orari. Il successo è tale che ne deriveranno svariate versioni.
Diventa taxi, roulotte. L’”Ape Car” nel 1971 segna forse l’apice della carriera, la diffusione è capillare, lo si vede ovunque. E, per una sorta di simbiosi probabilmente neppure voluta, assume talvolta un versante glamour, anch’esso. Basti pensare al “Calessino”, simbolo della “Dolce Vita”, utilizzato nelle località vip come Capri, Forte dei Marmi, Portofino, fino alla sua presenza, e non solo quale accessoria comparsa, nel mondo del cinema, in “Boccaccio ’70”. Anche un genio del design come Giorgetto Giugiaro viene chiamato ad interpretarlo.
Ora l’”Ape” lascia il nostro Paese, non senza rimpianto per chi ne ha apprezzato la preziosa compagnia. Lo salutiamo con affetto. Chissà quale mezzo nel futuro saprà esprimere così bene l’industriosità e la speranza per un domani migliore.