Settant’anni fa moriva Tazio Nuvolari
Settant’anni fa – l’11 agosto 1953 – moriva Tazio Nuvolari, a nostro parere il più grande pilota di tutti i tempi. Morì nel suo letto, “Il Mantovano volante”, “Nivola”, alcuni dei suoi appellativi, come non era assolutamente scontato per i suoi colleghi dell’epoca, i “Cavalieri del Rischio” per i quali, dopo una gara, poteva non esserci un domani. Era nato ricco per i suoi tempi e fin da bambino si era innamorato dei motori. Prima le due ruote poi le quattro.
La sua fama ne fece un personaggio a metà tra lo sportivo e la figura mitologica. Sono eloquenti le parole che Roberto Roversi gli dedicò a nobilitare le note del brano omonimo, stupendo, di Lucio Dalla. “Quando corre Nuvolari, quanto passa Nuvolari, la gente arriva in mucchio e si stende sui prati, quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore e finalmente quando sente il rumore salta in piedi e lo saluta con la mano, gli grida parole d’amore, e lo guarda scomparire come guarda un soldato a cavallo, a cavallo nel cielo di Aprile”. Nuvolari è tutto lì.
Un mito da vivo, avvolto dall’amore straripante del suo popolo. Non era probabilmente del tutto vero che “morire non gli importa niente” (sempre Roversi), Nuvolari sapeva anche calcolare, ma il suo talento cristallino e ineguagliato gli consentiva numeri preclusi a tutti gli altri, comprese le spettacolari derapate. Giocava a scacchi con la morte, la sfidava, e l’ha sempre vinta, almeno sui circuiti. Si narra che Enzo Ferrari, allora pilota, volesse imitarlo e che Achille Varzi, altro campione, lo avesse ammonito: “ma vuoi ammazzarti?”.
Ferrari lo amò molto quando Nuvolari guidò per lui, ammaliato da uno stile inimitabile. Storia e leggenda si mischiano, come quando al Circuito del Valentino perse il volante ma continuò conducendo la vettura con un cacciavite. Alla “Mille Miglia” del 1930, recuperato il divario che lo separava da Varzi, lo beffò superandolo a luci spente nella notte, simulando un guasto meccanico. È quasi pleonastico elencare tutti i successi del “Nivola”: ha vinto dappertutto, 227 gare disputate, 59 vittorie e 113 podi, una volta su due.
Perfino nella tana dei tedeschi allora dominatori con la Mercedes e l’Auto Union, con Stuck, Von Brauchitsch, Rosemeyer e Caracciola: al Nürburgring con un’Alfa Romeo P3 datata e meno potente rispetto alla concorrenza, sbaragliò il campo, meritandosi la nomea di “diavolo” per come aveva irriso la tecnologia teutonica. Conobbe anche i drammi della vita: i suoi due figli, Giorgio e Alberto, perirono prematuramente per malattie fatali. Si racconta che sul letto di morte, vinto da un secondo e fatale ictus, Nuvolari espresse un ultimo desiderio: sentire, dalla finestra della sua stanza, ancora e per l’ultima volta il rombo di un motore acceso.