Nascita, declino e rinascita del cinema drive-in
Quello dei drive-in è un capitolo che spesso viene ignorato dai libri di storia del cinema. Spesso ritenuto indegno di attenzione, sia perché viene eclissato dalle sale cinematografiche, sia perché i titoli che venivano proiettati (al di là di quelli presenti anche nei cinema ordinari) in media erano film di serie B, se non Z. Eppure è un tipo di fruizione estremamente particolare e figlia dei suoi tempi, che come ogni fenomeno ha i suoi punti di fascino da indagare. Un tipo di sguardo quindi, che ha profondamente segnato l’identità degli spettatori, specie quelli statunitensi tra gli anni ‘40 e ‘80.
In questi decenni divennero un vero e proprio fenomeno culturale, un po’ per difendersi dalla rivalità del consumo televisivo offrendo spettacoli a basso costo e promettere al pubblico esperienze non sostituibili con il divano di casa, un po’ per allinearsi ai nuovi beni di consumo delle famiglie come le automobili. Parliamoci chiaro: nei drive-in in molti casi si faceva di tutto tranne che guardare i film proiettati, un po’ come accadeva nei teatri del’600, quando l’attenzione era tutta focalizzata sull’aria principale nel momento clou della tensione, ma il pubblico mangiava, beveva, chiacchierava. I veri cinephiles non andavano di certo in luoghi affollati da ragazzini rumorosi, dove la qualità audio e video non era ai livelli delle sale al chiuso. Quindi perché tutto questo successo? Proveremo a rispondere attraversando brevemente la storia di questo modo di fruire il cinema, passando attraverso il tipo di pubblico, di titoli proiettati e aprendo una parentesi sui film che contengono scene ambientate nel luogo in questione. Scoprite con noi come la magia nostalgica e retrò rimane intatta ancora oggi, nonostante ascese e cadute nel secolo scorso.
Nascita, declino e rinascita dei Drive-In
Ripercorriamo brevemente la storia dei cinema drive-in. Una storia che inizia e si svolge principalmente negli Stati Uniti. L’idea di assistere a proiezioni di film all’aria aperta e dal proprio veicolo risale sin dai primi decenni del Novecento, ma si dovrà aspettare il 1933 per un vero e proprio brevetto di un teatro drive-in a tutti gli effetti, grazie al magnate Richard M. Hollingshead. Voleva coniugare due industrie e passioni crescenti nella società americana del tempo: quella automobilistica e quella cinematografica. Da qui l’idea prese il volo. I primi esperimenti dovevano affrontare i problemi di suono. Il drive-in originale di Hollingshead aveva altoparlanti installati sulla torre stessa, causando un ritardo del suono che interessava gli spettatori nella parte posteriore dell’area. Nel 1935, il Pico Drive-in Theatre tentò di risolvere il problema disponendo una fila di altoparlanti davanti alle vetture. Nel 1941 vennero introdotti altoparlanti per auto con controlli del volume individuali che risolsero l’inquinamento acustico. Da cui si vide un boom di nuove aperture, grazie anche ai maggiori acquisti di auto da parte degli americani. Il picco di popolarità arrivò tra gli anni ’50 e ’60, in particolare nelle aree rurali. Erano un’alternativa più economica ai cinema al chiuso perché risparmiavano il gas per andare in città e il costo di costruzione e manutenzione era inferiore. Inoltre non bisogna dimenticare che l’industria cinematografica evolve e inventa nuovi stratagemmi ogni volta che incombe una minaccia al suo successo: negli anni ‘50 la diffusione delle televisioni portò il cinema a diventare quasi del tutto a colori, con nuovi formati panoramici e il 3D, tutte cose che non si potevano avere da un piccolo schermo da casa in 4:3. La fruizione dalla propria auto all’aperto non fa eccezione.
Al loro apice, alcuni drive-in utilizzavano espedienti di ogni tipo per attirare l’attenzione ed aumentare la partecipazione. Si andava da estrazioni per premi, voli in elicottero o in mongolfiera, assurdità come un piccolo zoo o apparizioni personali di attori e band. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni ’60, la partecipazione ai drive-in iniziò a diminuire per i miglioramenti e le modifiche all’intrattenimento domestico, dalla televisione a colori ai videoregistratori per home video all’inizio degli anni ‘80. Le famiglie potevano godersi i film nel comfort delle proprie case e senza spendere niente. Inoltre lo spostamento crescente delle abitazioni dalle città alle zone suburbane aveva portato alla diminuzione dello spazio indirizzato ai drive-in per fare posto alle case. Senza contare che l’inflazione galoppante aveva reso i terreni utilizzati sempre più costosi e quindi troppo preziosi per un uso continuato. Molti operavano soltanto nei fine settimana, alcuni erano aperti solo nei mesi primaverili ed estivi. Oltre alla grande quantità di spazio occupato, molti di quelli vecchi avevano bisogno di investimenti per migliorare la propria infrastruttura e mantenere le proprietà. C’era poi il problema della concorrenza con le sale in termini di numero di proiezioni: il drive-in poteva effettuarne poche e solo di sera, dipendendo anche molto dalle condizioni metereologiche; la sala chiusa invece poteva anche stare aperta 24 ore su 24. Con il tempo quindi questo tipo di fruizione cinematografica è diventata obsoleta, fino a conoscere una riscoperta nostalgica e per certi versi feticistica. Questo fascino retrò e vintage ha portato a una sorta di rinascita verso la fine degli anni ’90. Durante la pandemia poi, i drive-in hanno registrato un’impennata inaspettata di presenze in diversi stati americani, poiché a differenza dei teatri al coperto questi sono stati autorizzati a operare, visto il distanziamento inevitabile tra le vetture. Dopo decenni di inattività, i cinema drive-in stanno lentamente diventando parte dell’esperienza cinematografica all’aperto e noi da Aosta non facciamo eccezione, grazie ad Aiace!
Tra famigliole felici e adolescenti in pubertà
I drive-in permettevano di portare parte della propria casa al cinema, dato che si restava nell’auto. Ma essi offrivano molto di più di semplici film: campi da gioco direttamente sotto lo schermo, musica dal vivo, addirittura schermi televisivi. Insomma il trionfo del sogno consumistico americano. Il tipo di fruizione del film stesso cambia radicalmente, assieme al suo spettatore ideale. Proviamo a conoscerlo. Inizialmente il target di fruitori dei drive in era in media composto da famiglie. Infatti Hollingshead pubblicizzava lo slogan: “l’intera famiglia è la benvenuta, indipendentemente da quanto siano rumorosi i bambini”. Il successo del drive-in era radicato nella sua reputazione di luogo adatto a genitori che potevano portarvi i propri figli, magari in pigiama, senza preoccuparsi di disturbare gli altri spettatori e potevano anche trascorrere del tempo insieme senza pagare le spese delle baby sitter. Qui poi avrebbero potuto disporre di diversi servizi, fast food in primis, distributori di gelati o pop corn, in alcuni posti addirittura parchi giochi per i più piccoli.
Durante gli anni ’50, la maggiore privacy concessa agli spettatori conferì ai drive-in una reputazione immorale e furono etichettati come pozzi della passione dai media. D’altronde i giovani trovarono questi luoghi ideali per un primo appuntamento, ma la loro aria di informalità piaceva a persone di tutte le età. Ricordate la scena di Grease (1978)? Per rinfrescarvi la memoria, una delle sue scene più memorabili si svolge in un drive-in dove la banda si riunisce, catturando la gioia e l’energia che provavano i ragazzi di allora ad andarci con gli amici. Un tipo di gioventù non tanto diversa da quella disegnata in American Graffiti (1973), film chiave per tutto quel filone che riporta con nostalgia le atmosfere degli Stati Uniti tra gli anni ‘50 e ‘60, aperto nel 1971 con il nettamente migliore L’ultimo spettacolo di Bogdanovich. Dunque l’esperienza del drive-in era (ed è) profondamente radicata nella cultura pop nordamericana, unita all’amore della gente per i motori e le storie in celluloide. Era attraente per il pubblico di allora il fatto di poter esprimere la libertà di cui altrimenti sarebbero stati privi a casa o in una sala al chiuso.
Donne giganti e robot contro alieni
Il video della canzone Doin’ time (Lana Del Rey – Doin’ Time) di Lana del Rey, regina della musica vintage contemporanea, è perfetto per capire il tipo di film o atmosfere caratteristici dei drive-in: nel caldo della California, su una melodia che non dimentica Summertime di Gershwin, una donna gigante si aggira per le strade cittadine; capiamo poi che una gigante Lana è nel film che dei ragazzi stanno guardando in un drive-in, dove accadono tradimenti ed effusioni. Forse non tutti sanno che la cantautrice ha voluto omaggiare un piccolo cult della sci-fi di serie B, Attack of the 50 foot woman. Titolo tautologico per quanto si vede sullo schermo, dato che si assiste letteralmente a “l’attacco di una donna alta 50 piedi” verso una cittadina per punire il suo uomo infedele.
Sicuramente se negli anni ‘50 aveste voluto guardare Viaggio in Italia di Rossellini o Il settimo sigillo di Bergman, i drive-in sarebbero stati l’ultimo luogo in cui trovarli. Infatti nel complesso, i cinema drive-in erano il canale privilegiato per proiettare film di serie B, visto il costo inferiore di distribuzione. Nonostante nei primi decenni vi fossero proiezioni anche di film importanti e con grandi nomi, man mano, per via del lento declino del loro successo come abbiamo visto ripercorrendo la loro storia, cominciavano a specializzarsi in titoli di bassa qualità, talvolta prodotti appositamente per la distribuzione drive-in senza passare dalla sala. Diventava anche costoso noleggiare film di serie A. Quindi si formò un repertorio di film di genere, ben consapevoli del tipo di pubblico che avevano di fronte: spesso indirizzati a famiglie o ragazzi, che all’epoca divoravano soprattutto sci-fi, horror, musical e beach movies. Quest’ultimo sottogenere vedeva le vicende di teenagers sulle soleggiate spiagge americane, in film come Vacanze sulla spiaggia o Muscle Beach party, che si può vedere nei cartelloni pubblicitari della scena nel drive-in di I ragazzi della 56a strada di Coppola. Se volete avere un assaggio dei titoli che avreste incontrato, date un’occhiata ai gioiellini dei B-movies fantascientifici come Destinazione Terra!, Cittadino dello spazio, Tarantola, fino a titoli di serie Z sullo stile di L’assalto dei granchi giganti e Invasori dall’altro mondo.
Non si è tanto distanti dalle atmosfere evocate da Science fiction double feature, l’iconica canzone di apertura di The rocky horror picture show, che rende omaggio a quel tipo di cinema. Se siete più per l’horror, magari in una serata di agosto in California avreste pomiciato con qualcuno in auto mentre veniva proiettato La casa dei fantasmi, La città dei morti, La donna vespa, Il mostro che uccide o Psycho. Ebbene sì, a volte venivano dati anche capolavori di particolare successo. Non stupisce se si pensa al fatto che sir Alfred Hitchcock aveva pensato al suo capolavoro shocker appositamente come film sperimentale da girare con i mezzi tipici dei film di serie B. Non è un caso isolato, perché da alcune foto d’epoca si vede che erano stati proiettati titoli come La magnifica preda, La regina d’Africa, Il padrino o Shining. Mentre i film exploitation sullo stile di Faster, pussycat! Kill! Kill! erano stati un punto fermo sin dagli anni ’50, aiutati da una supervisione censoria limitata rispetto alle sale al chiuso cittadine, negli anni ’70 diversi luoghi sono passati dalla proiezione di film per famiglie a quelli solo per adulti, anche per compensare il calo di clientela e entrate. Altri potevano tranquillamente proiettare Robin Hood in prima serata e poi, mandate le famiglie a casa, Gola profonda nelle fasce orarie notturne per ottenere entrate extra.
Film al Drive-In in altri film
Come già detto, la visione di pellicole in drive-in ha influenzato in modo profondo la mentalità degli spettatori, dunque non poteva non toccare anche la fantasia di registi e sceneggiatori, che decidono di inserire nei loro film scene con questa ambientazione. Abbiamo accennato prima a titoli molto celebri, come Grease, American Graffiti o I ragazzi della 56a strada, ma sono solo alcuni. Già Kubrick nel 1961 con Lolita, dove l’ambiguo trio composto da madre, figlia e l’ossessionato Humbert Humbert sono in auto e guardano una proiezione di La maschera di Frankenstein. Lo spavento per il film fornisce al personaggio di Mason l’occasione per rassicurare la piccola “ninfetta” e porsi come figura paterna protettiva. Lolita (Kubrik, 1961) – Al cinema drive in “La maschera di Frankenstein”
Altre scene più “ordinarie” di spettatori nel luogo in questione si trovano in molti titoli, spesso solo come ambientazione di sfondo: I segreti di Brokeback mountain, Pee Wee’s big adventure o Le regole della casa del sidro, Se mi lasci ti cancello o Ritorno al futuro parte III, dove Marty scopre un cinema drive-in e assiste al primo esempio conosciuto di film in 3D.
Tuttavia in altre pellicole la scelta “scenografica” della location non ha solo un ruolo estetico o legato al momento storico in cui è ambientato, e assume l’aspetto di una riflessione metalinguistica più potente sulla società stessa, lo sguardo e il mezzo espressivo del cinema.
Nel capolavoro sottovalutato di Bogdanovich Bersagli (1968) gran parte del film si svolge in un drive-in. Qui viene data l’ultima fatica di un vecchio attore dell’orrore (interpretato da Boris Karloff, con scene prese da La vergine di cera di Corman), ma il vero terrore non viene provocato da un film ormai polveroso per il ‘68: dietro lo schermo un uomo armato di fucile gioca a tiro a segno con gli spettatori nelle loro auto, vere e proprie trappole. Un metatesto fondamentale sul cinema horror, il suo cambiamento dalle origini al presente, sull’evoluzione della paura nella società di fronte alla violenza ingiustificata e la generazione in piena guerra del Vietnam. L’interprete dei mostri della vecchia Hollywood non spaventa più di fronte ai nuovi mostri generati dalla violenza insensata. Quando Bersagli uscì, i drive-in erano alla vigilia del declino, così come il tipo di film a basso costo che vivevano di quelle serate, a cui il regista rende omaggio.Un momento simile di omicidi in un drive-in, ma privo di qualsiasi riflessione psico-sociale, si trova nello sterile slasher movie Drive-In massacre, interessante solo se vi divertite a vedere gente che finisce come uno spiedo mentre sta comodamente nella sua auto e guarda il grande schermo. Un tentato omicidio nel drive-in avviene poi in Christine la macchina infernale di John Carpenter: la cosa bizzarra è che l’automobile stessa prova ad uccidere la ragazza del suo proprietario.
Troviamo poi un rovesciamento parodico del drive-in e di ciò che rappresenta nella società statunitense in Polyester, del re del trash intenzionale John Waters. In una breve scena ce lo mostra come un luogo di classe, raffinato, dove gli hot dog sono sostituiti dalle ostriche e invece dei film squallidi con effetti speciali dozzinali si proiettano pellicole da intellettualoidi altoborghesi come India song di Marguerite Duras. Un ambiente economico e distante dalla borghesia acculturata qui diventa il suo contrario, sbeffeggiando sia quell’ala del pubblico snob che rifiuta i prodotti di serie B, sia lo spettatore americano medio, incapace di fruire prodotti europei o autoriali, magari preferendo Chuck Norris a Delphine Seyrig. In un altro suo film, A morte Hollywood! il regista Cecil B. Demented e la sua troupe di folli fanatici (ognuno ha tatuato il nome di un autore anticonvenzionale come Kenneth Anger, Otto Preminger, William Castle…) rapiscono la star delle major hollywoodiane per farne una paladina di un film “dal vero” in pieno stile underground e un inno punk della dissacrazione del cinema mainstream. Questo terrorismo metacinematografico non poteva che concludersi con la proiezione del frutto delle loro fatiche in un drive-in, luogo che, come abbiamo visto, nel tempo aveva assunto l’aspetto di una mecca per i seguaci del cattivo gusto e del bollino X rated.
Terminiamo questa breve carrellata di titoli legati alla location in questione con The other side of the wind di Orson Welles, girato tra il 1970 e il 1976. Essendo un film incompiuto, facciamo riferimento al montaggio concluso dall’amico dell’autore Peter Bogdanovich e presentato postumo a Venezia nel 2018 (fu distribuito da Netflix, piattaforma su cui è tuttora disponibile). La trama vede un vecchio regista tornare dietro la macchina da presa per girare un film a basso costo, ma sperimentale e ambizioso. Il tutto si svolge il giorno del suo compleanno a cui partecipa qualsiasi critico, giornalista, amico e nemico, anche per assistere alla proiezione del girato del film in questione. Il caos cacofonico di inquadrature e montaggio conduce la compagnia di personaggi cinici e vuoti nel finale, dove in un drive-in si prova a concludere la proiezione, più volte interrotta, tra blackout e altri episodi intrisi di pessimismo e satira. È anche un film sui diversi tipi di sguardo e percezione, dunque è emblematica l’ultima scena. L’attrice protagonista si guarda sullo schermo dalla sua macchina: si staglia nuda, in un deserto, come il parcheggio stesso in cui si trova. Quando sorge il sole, lei se ne va con l’auto e svanisce dissolvendosi dalla proiezione, come i fantasmi, che vivono solo nel buio della notte, per morire alla luce del giorno. Non è forse il cinema?
Abbiamo visto come i drive-in siano spesso sinonimo di estate, di spensieratezza, di occasione per stare con gli amici o la famiglia e condividere la passione per il cinema: e lo sa bene chi è venuto alle serate in tema da noi organizzate l’estate scorsa. Arrivati a questo punto non possiamo dunque che aspettarvi agli appuntamenti del drive-in per Aiace a macchia d’olio, dove potrete rivivere un’esperienza unica di visione dal gusto retrò e tanto divertimento!
Ecco di seguito le proiezioni a cui non dovrete assolutamente mancare:
- Sabato 1 luglio: Cinema Horror ad Aosta – L’Armata delle tenebre di Sam Raimi (USA, 1992)
- Domenica 2 luglio: Cinema in famiglia ad Aosta – Taron e la pentola magica di Ted Berman e Richard Rich (USA, 1985)
- Venerdì 18 agosto: Cinema in famiglia a Saint-Christophe – Dragon Trainer di Chris Sanders e Dean DeBlois (USA, 2010)
- Sabato 19 agosto: Cinema Cult a Saint-Christophe – Ritorno al futuro di Robert Zemeckis (USA, 1985)
di Ludovico Franco