La scelta radicale e di successo di Elio Ottin

07 Ottobre 2019

Scegliere di lasciare un lavoro in Regione a tempo indeterminato per lanciarsi nella viticoltura richiede coraggio. Come ogni scelta, si lascia indietro qualcosa che si conosce per poi ritrovarsi nell’ignoto, alla ricerca di qualcosa di nuovo. Questo è stato il percorso di Elio Ottin, e visto il successo ed i riconoscimenti che sta ottenendo nella produzione di vino, la scelta si è rivelata giusta.

“Ho lavorato per 15-16 anni in Regione. Era un bel lavoro, a contatto con gli agricoltori, quindi non un lavoro burocratico. Ho dei bei ricordi, ed ancora adesso quando mi capita di incontrare qualcuno c’è ancora chi si ricorda, perché si erano creati dei bei rapporti. Però non ho mai avuto dei ripensamenti per averlo lasciato. Anzi, forse se avessi cambiato prima sarebbe stato meglio, ma si vede che le cose non erano mature”, racconta Ottin.

Dall’espansione dei terreni alla produzione propria

Il papà di Elio, Emerico, aveva qualche vigna di pinot nero, ma solo per fare il vino per sé o regalarlo a qualche amico. Poi, pian piano, Elio ha ampliato la superficie, conferendo prima l’uva alle cooperative. Ora ha circa 8 ettari tra Aosta, Saint-Christophe, Quart e Saint-Denis, e produce due Petite Arvine, una classica e una nuance, un Torrette Superieur, un Fumin e due Pinot Noir, uno classico e uno “riserva” che si chiama Emerico, proprio in onore del padre. Ad aiutare Elio ora c’è anche il figlio Nicholas, 27 anni, che fa anche il maestro di sci.

“L’azienda è relativamente giovane, è solo dal 2007 che produciamo il nostro vino. Quando ci siamo ampliati io avevo iniziato a lavorare part-time, ed il resto del tempo era dedicato alle vigne. Il lavoro non finisce mai, perché oltre ad essere sul campo c’è sempre qualcosa da fare anche in ufficio eccetera. Però ci sono tante soddisfazioni, perché sei tu a decidere cosa coltivare, se affinare in acciaio o in legno, quando raccogliere: il vino è una cosa che senti tua”.

Un vino “identitario”, non solo del terroir ma anche di chi produce

Ed infatti, la filosofia di Ottin è proprio quella di un vino “identitario”, non solo del terroir ma anche di chi produce: “Difficilmente farei un vino che non berrei, solo per venderlo. Non riuscirei a trasmettere la passione. A volte fai dei vini “difficili”, come il Torrette Superieur: non a tutti piace, ma rispecchia l’identità della nostra zona ed io non voglio fare niente per cambiarlo, per mascherarlo”.

I vini di Ottin hanno un ottimo riscontro, sia in Italia che all’estero, permettendo di far conoscere i vini valdostani. Hanno ottenuto tanti premi, ma Elio si schernisce: “Non mi interessa parlarne, non faccio vini per vincere premi. Certo, sono ben graditi, perché altrimenti non manderei le bottiglie, ma se vinco bene, se no pazienza”.

Il gusto e la passione che guardano al futuro

Nei prossimi anni ci sarà qualche novità: “Abbiamo piantato del Nebbiolo perché avevamo letto un libro di Giulio Moriondo e Rudy Sandi in cui parlava del clairet, che si faceva alla fine del 1800 in Valle d’Aosta, ed era composto al 90% da Nebbiolo e venduto come vino di lusso soprattutto in Francia e Svizzera. È una storia che mi ha veramente affascinato, e mi sono chiesto come mai non fosse più stato coltivato. Nel 2016 allora abbiamo fatto una barrique di 300 bottiglie, nel 2017 niente perché ha gelato e l’anno scorso quattro o cinque barrique: sarà un vino che metteremo in commercio ma non so con che nome e con che tempi, è un vino che non conosci quindi non si sa bene. È tutto un libro aperto”.

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